Dalle toghe soltanto diktat

Dalla Rassegna stampa

Cambiano i governi, cambiano le maggioranze ma non cambiano le brutte abitudini dei magistrati. Che non rinunciano alla tentazione, diciamo pure alla pretesa, di scriversi praticamente da soli le leggi che li riguardano, accusando chi osa resistere di volere attentare alla loro autonomia, indipendenza, eccetera eccetera.

Solo un'assurda presunzione di superiorità e onnipotenza può spiegare la perentoria richiesta, fatta ieri dal sindacato delle toghe alla Commissione Giustizia del Senato, di "stralciare", cioè di abolire, la nuova norma sulla responsabilità civile dei magistrati introdotta dalla Camera in una legge di adeguamento "comunitario", cioè europeo, di questa ed altre disposizioni. Che non osino quindi limitarsi i parlamentari a modificarla, rinviandola a Montecitorio in un nuovo testo, "migliorato" secondo gli auspici, o suggerimenti, espressi dal presidente del Senato in persona.

In particolare, Renato Schifani, ha riconosciuto che una nuova disciplina non possa contemplare la possibilità di una causa per danni ingiusti intentata direttamente contro il magistrato, e non contro lo Stato. Che poi si rivale sulla toga, come è previsto con una legge in vigore dal 1988, studiata però apposta per renderne l'applicazione sostanzialmente impossibile. Da allora infatti solo 400 sono state le cause che hanno potuto superare lo sbarramento di ammissibilità e 4 quelle conclusesi con la condanna dello Stato. Di cui peraltro non si sa bene se e come abbia esercitato sul magistrato responsabile il pur modesto diritto di rivalsa oggi contemplato, non superiore a ratei mensili di un quinto di uno stipendio annuo.

Neppure al riparo dell'attuale procedura indiretta, con l'obbligo cioè del cittadino di continuare a rivolger- si allo Stato, i magistrati vogliono sentire quindi parlare di una revisione del sistema che li protegge. O non vogliono sentirne parlare adesso, con la legge che sta facendo la spola tra le due Camere. Niente da fare. Si deve aspettare un'altra occasione a loro gradita, secondo il modello di Bertoldo. Che reclamava il diritto di scegliere l'albero al quale lasciarsi impiccare per non trovare mai, naturalmente, quello giusto. Ma qui non c'è nulla e nessuno da impiccare. C'è solo da rendere finalmente e decentemente più praticabile- e più conforme alle sentenze di condanna che intanto ci siamo procurati dalla Corte Europea per come si amministra da noi la giustizia- la responsabilità civile dei magistrati sancita nel 1987 da un referendum. Che fu promosso e vinto a mani basse dai benemeriti radicali di Marco Pannella.

Con il loro intervento di ieri a gamba tesa sulla Commissione Giustizia del Senato, dove hanno depositato un documento sottolineandone il consenso unanime raccolto a livello sindacale, i magistrati sono riusciti peraltro a scavalcare in durezza la già pesante iniziativa assunta in materia di recente dal Consiglio Superiore della Magistratura, sempre in funzione di altolà al Senato. Ed hanno anche mostrato di non fidarsi degli orientamenti maturati nel vertice della maggioranza promosso nei giorni scorsi dal presidente del Consiglio a Palazzo Chigi.

Dove in effetti i segretari dei partiti che sostengono il governo avevano maturato la convinzione che la norma approvata alla Camera con un emendamento del leghista Gianluca Pini alla legge comunitaria dovesse essere modificata e non buttata praticamente nel cesso con la formula dello stralcio, come reclamato dal sindacato delle toghe.

Cresce intanto fra i magistrati anche la mobilitazione, con le solite appendici politiche, contro le modifiche in cantiere del reato di concussione. Che, per quanto inserite in una disciplina della lotta alla corruzione più efficace e conforme al quadro europeo, hanno l'inconveniente di poter fare perdere al tribunale di Milano, dopo tutte le forzature compiute per incardinarlo lì, il processo a Silvio Berlusconi per l'affare Ruby.
 

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