Conflitto siriano e marò prime sfide per Emma Bonino

Dalla Rassegna stampa

«Così Davide ebbe il sopravvento (su Golia) con la fionda e con la pietra. Lo colpì e uccise, benché Davide non avesse una spada». Antico Testamento, Samuele 1.17. Citando ripetutamente l’impresa biblica e lo spirito di Davide, è stato Enrico Letta a riassumere alla Camera l’agenda di Emma Bonino: del ministro degli Esteri di un Paese che non è una grande potenza; che più di altri alleati occidentali fatica a definire con facilità il proprio “interesse nazionale”; che a volte, sopravvalutandosi, non offre grandi prove di sé; che tuttavia in molti altri ottiene i propri scopi con ostinazione e originalità.

Prima di elencare cosa l’attende nel suo nuovo ufficio alla Farnesina - a partire dalla vicenda della scomparsa di Domenico Quirico in Siria - è necessario sapere una cosa di Emma Bonino. Dopo l’11 settembre decise di trasferirsi per un po’ al Cairo e imparare l’arabo. Non per un relativismo assoluto o una forma di acritico terzomondismo che non è parte del suo bagaglio politico. Nel momento di grande contrapposizione con l’Islam e gli arabi, da liberal-radicale, semplicemente Emma Bonino decise che farlo fosse la cosa migliore per capire il problema. Capire una questione è sempre il modo più pratico per risolverla. In diplomazia è un imperativo. Questo non significa che per chiudere la vicenda dei due marò Emma Bonino dovrà imparare anche l’hindi e il malayalam del Kerala. Ma la soluzione dell’intricato caso di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone è prioritaria per il nuovo ministro degli Esteri. Perché è una questione di dignità nazionale, dopo i clamorosi errori compiuti dai due precedenti governi; e di rispetto verso l’India, altrettanto clamorosamente ignorato. Il ministro Bonino non riporterà a casa i due marò nelle prossime 48 ore ma entro qualche giorno dovrà dimostrare che qualcosa è cambiato nel nostro comportamento. Giulio Terzi aveva due importanti limiti dovuti alla straordinarietà del governo cui apparteneva: era un ministro tecnico e non doveva curarsi del dossier europeo, di esclusiva competenza di Mario Monti. Emma Bonino sa di Europa quanto Monti, col quale è stata commissario Ue. Come lui è conosciuta e stimata in ogni sede dell’Unione e in ogni capitale. Riportare la Farnesina al centro delle politiche europee dell’Italia è fondamentale per modificare l’altra straordinarietà che caratterizzava Terzi. Quello degli Esteri non deve essere un ministro tecnico ma politico: deve definire politiche, interagire con quelle degli altri, individuare, promuovere e perseguire il già citato interesse nazionale, istruire su questo il corpo diplomatico. D’accordo con il sistema produttivo italiano deve contribuire a consolidare quel “sistema Paese” (un altro nostro mito), colonna dell’interesse nazionale.

L’Italia ha molti interessi nel mondo ma sul piano geopolitico quattro sono i fondamentali: la Ue, la Nato, i rapporti con gli Usa e il vicino Oriente. Non è del tutto vero che l’Italia abbia poco da fare, da sola, nel caos delle Primavere arabe: forse riguardo al massacro siriano, non sulla stabilità di altri Paesi. Su quella del Libano, ribadendo la volontà italiana di mantenere forte la presenza italiana fra i caschi blu al confine meridionale; su quella tunisina ed egiziana, impegnandoci nell’aiuto economico e nella presenza degli investimenti italiani, a dispetto delle ristrettezze di bilancio. Infine il conflitto fra Israele e Palestina. Sul voto all’Onu dello scorso novembre a favore del riconoscimento dello Stato palestinese, Terzi voleva una posizione diversa dal sì italiano. Storicamente siamo sempre stati troppo filo-arabi o troppo filo-israeliani. Emma Bonino ha qualità e conoscenze per imporre una linea credibile: quella che sostiene il diritto nazionale dei primi e il diritto alla sicurezza dei secondi.

 

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