Come lo stato si vendica dei boss

Gaetano Fidanzati è stato per la maggior parte dei 76 anni della sua vita un boss di Cosa Nostra.
Non esattamente un pezzo da novanta. Ma uno che ordina omicidi o che ha a che fare con il traffico di cocaina in grande stile quello forse sì. Al di là delle effettive condanne subite. Tanto che la leggenda metropolitana degli anni '70, quelli in cui Fidanzati divenne qualcuno, lo voleva come colui che portò la coca alla Milano bene. Anche se probabilmente i ricchi sotto la Madonnina sniffavano già da svariati decenni e non avevano certo bisogno della mafia siciliana per imparare a conoscere la neve. Fatto sta che Fidanzati inizia a far parlare di sé quando Il 17 giugno 1970 venne fermato ad un posto di blocco insieme con Tommaso Buscetta, Salvatore Greco, Giuseppe Calderone, Gaetano Badalamenti, Gerlando Alberti. Tre boss e due pentiti, un po' tutta la storia di Cosa Nostra degli anni passati.
Nel 1981 fu arrestato nella villa bunker di via Martiri della Resistenza ad Assago. Il 14 febbraio 1983 fu tra i destinatari dei mandati di cattura per associazione mafiosa del blitz di San Valentino. Da queste accuse, insieme ai fratelli Bono, a Ugo Martello e agli imprenditori Antonio Virgilio e Luigi Monti, ne uscì assolto in Cassazione. Nel 1984 dopo le rivelazioni del pentito Buscetta fu raggiunto da un mandato di cattura per associazione mafiosa e condannato a 12 anni di reclusione nel primo maxi-processo alla mafia. Alla fine del 1987, dopo aver ottenuto la libertà per scadenza dei termini, Fidanzati divenne uccel di bosco. Nel febbraio 1990, dopo tre anni di latitanza, fu arrestato in Argentina dalla polizia locale. Venne condannato a tre anni di reclusione per aver utilizzato documenti falsi per entrare nel Paese. Giovanni Falcone andò a interrogarlo, ma il boss si limitò a sostenere di essere un "perseguitato politico".
Fatta questa dovuta premessa e ricordato ai lettori che l'ultima volta che Fidanzati mise piede in carcere, dove tuttora si trova recluso, risale al 5 dicembre 2009, adesso inizia tutta un'altra storia. Quella dello stato italiano che, non potendo ragionevolmente credere alla possibilità di rieducare un personaggio della malavita organizzata come lui, non si limita a tenerlo recluso ma si vendica e lo tortura. Con il 41 bis. Di questa storia, della malattia, cancro alla prostata, che affligge Gaetano Fidanzati, di come viene trattato nella sezione 41 bis a Parma, del fatto che da due anni passi 23 ore su 24 in una struttura ultra moderna che però si trova pressoché sottoterra (dalla finestra si vede solo il muro di cinta ma non il cielo, secondo i racconti che fa l'ex boss alla figlia e l'ora d'aria la fa in una sorta di gabbia metallica nel cortile del carcere che di inverno spesso si trasforma in una specie di igloo con le nevicate), si sono occupati i radicali e quelli di Ristretti Orizzonti.
Con più di un'interrogazione parlamentare, ad esempio, Rita Bernardini, la Florence Nightingale radicale dei reclusi italiani, ha più volte chiesto ai due ministri, Alfano e Nitto Palma, che si sono succeduti a via Arenula, di riconsiderare la detenzione di Fidanzati nel 41 bis dove per lui le cure contro il tumore alla prostata sono impossibili.
Adesso la figlia Grazia ha scritto anche al neo ministro Paola Severino una lettera aperta, indirizzata per conoscenza anche al Capo dello stato Giorgio Napolitano. Il passo più significativo, e commovente (anche se di un ex boss, è pur sempre il grido disperato di una figlia che cerca di salvare la vita al padre, ndr): "il 14 novembre 2011 l'urologo di fiducia è riuscito a visitare mio padre, ha concluso che deve ripetere gli esami per il tumore e comunque entro un mese deve iniziare le cure è troppo chiedervi di sollecitare il direttore del carcere, in modo che si possa rendere più celere l'intervento dei medici e iniziare le cure?!".
Poi la richiesta: "la legge prevede che un uomo' debba scontare la propria condanna, chiedo che questa condanna sia scontata in modo umano e dignitosa, e che ognuno si prenda le proprie responsabilità nel caso di peggioramento o morte di mio padre... in parole povere vi chiedo di rivedere la posizione del41 bis, nella speranza che possiate accogliere questa mia richiesta o grido di speranza".
A questo punto c'è solo una domanda da porsi: Gaetano Fidanzati è ancora così pericoloso socialmente, legato ad ambienti della mafia, del traffico internazionale di droga o del racket, da dover sacrificare una vita umana, la sua, a esigenze di sicurezza? O per caso vi è sottostante a questa situazione una indicibile esigenza di vendetta sociale sotto mentite spoglie? In altre parole lo stato ha deciso di combattere la mafia usando i suoi stessi metodi? Tortura, omicidio, sequestro di persona? Se la risposta è sì, basta dirlo.
Ma invece che tenerli lì a bagno maria nel 41 bis, facendoli morire giorno per giorno in galera come nemmeno l'Europa permette che i maiali siano tenuti, allora tanto vale scioglierli tutti nell'acido come fece il pentito Di Maggio con il povero figlio di Santino Di Matteo. Si abbia il coraggio e si rompa ogni ipocrisia, non ci si nasconda dietro la burocrazia del 41 bis e i suoi riti di stabilizzazione parlamentare.
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