Clericali e no

Pannella, Papa Francesco, una testimonianza quasi cristologica e lo scandalo del pubblico pagante N on sono tecnicamente un pannelliano: troppo "di sinistra" e troppo "politicamente correttissimo" (come recita il titolo di questa rubrica) per poter essere annoverato tra i sodali del leader Radicale. Ne condivido, tuttavia, buona parte degli obiettivi. E ne apprezzo proprio ciò che è in uggia a tanti: ovvero, il suo essere eccessivo, privo di senso della misura e del limite, e nevroticamente estraneo ai codici dominanti (compresi quelli della lingua, del gusto e dell’opportunità). Lo si è visto in questi giorni.
Accade che Papa Francesco telefoni a Pannella a proposito dell’azione nonviolenta da lui condotta e delle ragioni che la motivano: la crisi del sistema della giustizia e lo stato delle carceri nel nostro paese. Ebbene, con la sola eccezione di un bell’articolo di Marco Politi sul Fatto quotidiano, i commenti sono stati generalmente incresciosi. Ora, io capisco che l’accostamento tra le due figure e i rispettivi profili pubblici possa eccitare la curiosità e sollecitare giochi di immagini e di parole. Ma fatto doverosamente ciò - come le ferree leggi della comunicazione e la santa malizia dell’opinione pubblica richiedono - possibile che sia proprio fatale precipitare in quella appiccicosa poltiglia di stereotipi e luoghi comuni? Quali "il Pontefice e l’anticlericale", "la conversione del miscredente", "gli atei che diventano baciapile" e poteva mancare? - "il diavolo e l’acqua santa". E giù un lungo elenco di atti che dovrebbero argomentare tutto lo stridore di quell’inopinato colloquio: la critica del Concordato e del comportamento vaticano sulla pedofilia nella chiesa, la polemica sullo Ior e sulle proprietà immobiliari, e così via. Ora, seppure tutto ciò fosse effettivamente manifestazione di "anticlericalismo", non equivarrebbe comunque a spirito anti religioso e anti cristiano. Bensì al suo esatto contrario. Basti ricordare, infatti, che il clericalismo è una degenerazione dell’esperienza di fede: e che esso è il bersaglio ricorrente di tutte le componenti che auspicano il rinnovamento all’interno della chiesa cattolica. E proprio Papa Francesco ha trovato i termini più efficaci per definire quel "peccato della Chiesa", chiamando "untuosi, suntuosi e presuntuosi" i sacerdoti che lo commettono.
Ma con ciò si rimane ancora alla superficie delle cose. Consideriamo, piuttosto, tematiche più laceranti: essere favorevoli a una soluzione legislativa rispetto a dilemmi così tragici come quelli posti da un’interruzione di gravidanza o da una agonia abbrutente, equivale a una scelta "anticristiana"? Ne dubito. E non mi appello, come sarebbe fin troppo banale, al fatto che molti autentici spiriti cattolici si ritrovino in quelle opzioni, bensì richiamo la sostanza essenziale delle questioni etiche in gioco. Intanto, perché tutte le normative che prevedono forme di regolamentazione legale delle contraddizioni sociali possono ispirarsi - oltre che a considerazioni di ordine liberistico o utilitaristico - a ragioni morali. Non a caso la teoria della riduzione del danno, che sempre motiva le politiche di legalizzazione, si nutre anche di un fondamento teologico quale la concezione del "male minore". Può esservi, pertanto, una motivazione cristiana nel volere, sia pure solo in casi estremi, la legalizzazione dell’aborto; così come si può rintracciare il cuore della pietà cristiana nell’atto misericordioso della sospensione di cure inutili o nel porre fine a dolori lancinanti. Non solo. Il cristianesimo, ma anche la stessa tonalità "cattolica" di certe testimonianze di vita religiosa possono ritrovarsi nella qualità più profonda di alcuni segni e messaggi e gesti dell’azione di Pannella. E la parola chiave è proprio testimonianza.
Quella di Pannella, che ci piaccia o no, e che ci piaccia in tutto o in parte, è certamente una testimonianza cristiana e, per certi versi, cristologica. Se ne ha conferma, in primo luogo, considerando il ruolo crescente attribuito al proprio corpo. E’ evidente che Pannella è affascinato dall’uso che può farne e dalle immagini e dalle metafore e dalle simbologie che può suscitare. Oggi, il suo corpo di ottantaquattrenne è ancora più potente, e non solo più duttile, della sua voce e del suo stesso cervello: proprio perché quell’organismo che dimagrisce e ingrassa, che si ritrae e si espande, che si rattrappisce e si gonfia, che deperisce e infragilisce e che si riprende e si rafforza, costituisce la più importante manifestazione della sua capacità di compassione. Ovvero di compassione: soffrire insieme a chi soffre, mentre la voce si fa roca e rotta come quella di chi mi è capitato di ascoltare dietro le sbarre di una cella o di una gabbia di un centro di identificazione ed espulsione per stranieri. Mettere a repentaglio il proprio corpo, dunque, è rappresentazione autentica del dolore e "teatro della crudeltà" della vita vera che viene mortificata fino all’annichilimento nei luoghi di privazione della libertà. Tutto ciò può apparire a molti insopportabile narcisismo e monotona reiterazione. E forse lo è. Ma è, ne converrete, l’esatto contrario del paganesimo, specie di quello contemporaneo, dove il tabù della morte pervade tuttora lo spettacolo consumistico della stessa. Qui, invece, non si recita. Checché ne pensi il pubblico pagante.
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