Chiudete Montelupo, più carcere che ospedale

Giorni fa ci siamo recati in visita ispettiva all'ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino. Non è la prima volta che ci rechiamo a Montelupo, negli altri Opg e negli istituti penitenziari in genere. Questa volta, però, la visita-ispezione ha avuto un significato ulteriore. Il 26 luglio scorso la Commissione del senato d'inchiesta sull'efficacia e efficienza del Servizio sanitario nazionle ha disposto il sequestro di alcune strutture dell'ospedale psichiatrico giudiziario; in particolare la "sala contenzioni" risultata «priva di idonei strumenti di monitoraggio a distanza e di segnalazione delle emergenze del soggetto coercito; nonché irraggiungibile in maniera sollecita ed autonoma da parte del personale sanitario, essendo le chiavi di accesso nella esclusiva disponibilità del personale penitenziario»; e ventuno celle della sezione Ambrogiana, per la «simultanea sussistenza di deficienze strutturali igienico-sanitarie e clinico-assistenziali». La Commissione aveva altresì rilevato «gravi e preoccupanti condizioni di degrado di tutte le altre sezioni attualmente operative, patentemente sprovviste dei requisiti minimi previsti dalla normativa vigente perle strutture psichiatriche» e in «tutti i locali Opg inottemperanza alla normativa vigente in materia di prevenzione degli incendi» disponendo un termine di 15 giorni per t adeguamento alla normativa antincendio e di 180 giorni per «conformare tutte le sezioni alla normativa nazionale e regionale perle strutture psichiatriche», termini successivamente prorogati al 30 settembre.
Abbiamo iniziato la nostra ispezione visitando tutte le sezioni dell Opg e abbiamo constatato il già denunciato e noto gravissimo degrado generale: non solo della sezione Ambrosiana, in cui non solo le celle posto sotto sequestro, ma anche quelle tuttora utilizzate, mostrano segni di degrado tanto nelle strutture murarie, quanto negli arredi; per non parlare di una quasi totale mancanza di privacy degli internati, costretti a vivere in spazi ridottissimi: in genere celle da quattro persone, dove il recluso non ha quasi la possibilità di muoversi anche se abbiamo constatato che la maggior parte delle celle era aperta - e con servizi igienici (anche se questo termine sembra eccessivo!) "a vista".
Analoga situazione abbiamo constatato nell'altro reparto, quello ancora in uso: anche qui l'aspetto carcerario prevale su quello sanitario. Il degrado appare fin da fuori del reparto, con la presenza di numerosi rifiuti (stracci, indumenti, oggetti, piatti di plastica) lanciati dai reclusi nel cortile attraverso le sbarre delle celle; tutto ciò con t aggravante che, dopo la chiusura delle celle sequestrate, questo reparto ha dovuto accogliere buona parte dei loro "ospiti" creando così condizioni di intollerabile sovraffollamento, e la perdita anche di alcuni spazi comuni precedentemente adibiti ad attività di socializzazione, come laboratori espressivi e sale comuni. In questo reparto era ubicata la "stanza delle contenzioni", che abbiamo trovato "occupata" da un internato, non contenuto, che nei giorni precedenti aveva sfasciato alcune suppellettili creando pericolo anche per gli altri ricoverati oltre che a se stesso; per questo per lui si è resa necessaria una cella individuale: il direttore sanitario dottor Scarpa e la direttrice amministrativa dotto- ressa Michelini ci hanno informato che era stata chiesta alla commissione una deroga, per utilizzare la stanza, senza peraltro ricevere risposta.
Al di là delle condizioni strutturali quello che ci ha maggiormente colpito, nel contatto con gli internati, è stata la percezione, peraltro verbalizzata da alcuni di loro, di un clima di incertezza sul loro futuro alla scadenza del 30 settembre: è comune e diffusa consapevolezza che questa data rappresenti un punto di non ritorno nella storia dell'Opg, e gli internati comprensibilmente si preoccupano del loro destino dopo quella data. Un internato, per fare un esempio, ci ha scongiurato quasi in lacrime, di «non mandarmi ad Aversa»; a poco o nulla sono servite a tranquillizzarli le rassicurazioni fornite dal personale sanitario e penitenziario. E origine di questo clima estremamente preoccupante (in quanto aggrava la condizione dell'internato caricandola di ulteriori angosce; e crea le condizioni perché all'interno dell'istituzione si verifichino incidenti. L'esperienza della chiusura dei manicomi ci dice che le fasi di transizione, quando non definite nella loro realtà, rappresentano un momento delicatissimo della vita istituzionale), è probabilmente legata da un lato all'eccezionalità del provvedimento di sequestro; dall'altro alla mancata risposta, visibile, delle istituzioni a questo provvedimento. Nelle aree sequestrate non è attivato nessun intervento di restauro e questo ci è stato confermato anche dai direttori nella riunione al termine della visita ai reparti. Nessun provvedimento concreto è stato ancora adottato, in ottemperanza al disposto dell'ordinanza della Commissione né dal Prap, né dalla regione per quanto di sua competenza. Inoltre la regione Toscana non ha emanato alcun atto ufficiale ri spetto alla chiusura dell'Opg e alla gestione della fase intermedia: gli stessi responsabili lamentano questa mancanza di progetti e di obbiettivi sia a medio che a lungo termine. Nonostante queste incertezze, non imputabili al personale sanitario e penitenziario che mostra nei confronti degli internati una dedizione straordinaria - lo riconosce la stessa commissione d'inchiesta - secondo i dati presentati dal direttore Scarpa, il processo di regionalizzazione della struttura secondo gli indirizzi del Dpcm e i programmi di dimissione sono significativamente progrediti. Dai 146 internati presenti alla fine di aprile si è passati agli attuali 128, quasi tutti provenienti dal bacino di utenza di "competenza" (Toscana, Liguria, Sardegna e Umbria): il processo di territorializzazione della struttura è quindi quasi completato, anche se resta irrisolto il problema delle donne, attualmente internate a Castiglione delle Siviere.
Il programma Oltre le sbarre, che negli anni scorsi ha potuto usufruire di un finanziamento ad hoc, ha consentito la dimissione di una ventina di soggetti tra quelli immediatamente dimissibili, altri progetti potrebbero essere attivati se venissero erogati i fondi che sono nella disponibilità regionale. Un'impressione che abbiamo tratto al termine della nostra visita-ispezione e dall'incontro con gli operatori è che l'Opg di Montelupo, anche attraverso interventi di riqualificazione delle sue strutture, ben difficilmente potrà assumere caratteristiche di tipo sanitario essendo tutta la struttura "pensata" e realizzata, sia all'origine che con i successivi interventi di restauro anche recenti, come struttura custodiale e non sanitaria.
Occorre dunque che la regione Toscana esca dall'ambiguità sulla volontà di chiudere l'Opg, facendosi carico fino in fondo di una scelta politica qualificante e in linea con l'attuale normativa, e rifiutando di restare paralizzata dai veti campanilistici che l'hanno frenata fino ad oggi. Questa chiarezza contribuirà grandemente a rasserenare il clima di preoccupazione sul futuro, che si traduce in angoscia per gli internati e, a lungo andare, in demotivazione e burn-out per gli operatori, e consentirà di realizzare quegli interventi di tipo ambientale imposti dalla Commissione per rendere, minimamente vivibile la struttura nella fase di transizione. Occorre che la regione predisponga, finalmente, un progetto obbiettivo per la chiusura di Montelupo, fissando modalità e tempi vincolanti per tutti i soggetti coinvolti nel processo: oggi sia i servizi di salute mentale della Toscana che quelli delle altre regioni del bacino non si sentono sufficientemente coinvolti nel processo di chiusura, e quindi di presa in carico degli internati di propria competenza. Questo per il diffuso convincimento (speculare e contrario a quello degli internati!) che a Montelupo un reparto rimarrà sempre (la famigerata Ambrosiana, ristrutturata, come anche ipotizzato in un recente convegno più volte richiamato anche dagli operatori nel corso della nostra visita). Nell'immediato va elaborato un progetto di riqualificazione delle strutture, per il quale ci risulta esistano in regione fondi per l'edilizia penitenziaria utilizzabili, così da renderle vivibili nel periodo di transizione verso la chiusura; in alternativa, vanno individuate alternative per un trasferimento immediato degli attuali internati in altre strutture in cui si possa realizzare con maggiore adeguatezza una gestione totalmente sanitaria dei soggetti internati. È un problema, evidentemente, che riguarda sia gli internati toscani che quelli delle regioni appartenenti al bacino di utenza, che devono individuare le soluzioni possibili e le eventuali risorse finanziarie per attuarle.
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