Chiesa in lotta

Conclusa la lunga epoca delle eresie, degli scismi, della lotta contro la Riforma, ecc., il mondo ecclesiale, la chiesa, si confrontano oggi, essenzialmente, con due interlocutori. Uno da sempre, magari: lo stato, soggetto primo della politica. L'altro, la scienza, individuata in questo ruolo negativo più recentemente, forse con Galilei. Nella sua lunghissima esperienza del rapporto con la politica - con lo stato - la chiesa ha mutato più volte concezioni, prospettiva e anche se stessa. Durante l'età medievale, il confronto con l'Impero riguardava la supremazia ideale, e forse la divisione territoriale dei poteri (lotta per le investiture dei vescovi), Il Sacro Romano Impero fu cosa diversa dallo stato nazionale con i suoi re, anche se una certa continuità c'è tra la cerimonia dell'incoronazione di Carlo Magno a Roma, nell'800 d.C. e, per dire, quelle dei Re francesi, gli Unti del Signore, a Reims.
Sempre rapporti forti, comunque, in una dialettica nella quale nessuno dei due soggetti contestava all'altro la legittimità di un potere assoluto, Per l'età degli stati-nazione ci interessa, naturalmente, l'area cattolica. Nel mondo protestante non mi pare che si possa parlare di conflitti tra poteri e di potere, le chiese riformate vi avevano rinunciato pretendendo solo, dalla controparte, un certo rispetto formale, ecc. L'interlocuzione con la scienza è, credo, più recente, forse nasce con Galilei. Ritengo si possa dire che prima di Galileo la scienza non avesse un suo status specifico, con la pretesa di interpretare integralmente la ragione umana, l'“Intellectus” che sant'Anselmo subordina alla fede. Con Galilei, invece, il conflitto, al di là degli eventi che portarono al processo, si apre in forma stabile. La scienza vuole interpretare la natura "juxta propria principia", tendenzialmente escludendo un intervento divino più o meno provvidenziale. La chiesa ha cercato una risposta che salvasse almeno il principio della creazione per mano divina. Il dibattito attuale si concentra, sia per quanto riguarda il confronto con lo stato che quello con la scienza, sui temi e i valori etici. Questo è il terreno su cui la chiesa intende saldamente mantenerlo: lo stato e la scienza vengono accomunati in un analogo alone di colpevolezza, in quanto hanno la pretesa di gestire, per vie diverse ma con risultati omologhi, l'intera gamma dei problemi dell'etica, Sempre più, stati e scienza sono venuti adottando una visione agnostica, ritenuta adeguata e sufficiente a dare ragione dei problemi e dei fenomeni naturali come anche del cammino storico. Il mondo ecclesiale, la chiesa non possono accettare l'esclusione dall'interpretazione della Natura e della Storia, sanno che tale esclusione significherebbe la loro fine, la fine della fede come la concepiscono. Ma lo scontro è ormai epocale, a causa della globalizzazione. Mi pare di averne già parlato: la globalizzazione segna una cesura tra lo ieri, l'oggi e il domani. Fino ad oggi, la storia di cui parliamo e cui facciamo riferimento è stata la storia della civiltà. occidentale, impregnata della parola e dello spirito cristiano. Anche dopo lo scisma orientale e la riforma, con accenti diversi la parola e lo spirito del cristianesimo hanno continuato a ispirare il cammino dell'uomo. Quanto accadeva al di fuori di essa, le vicende del lontano oriente e di ogni altra parte del mondo appariva come marginale. Oggi non è più così, e domani andrà ancora peggio. L'occidente ha consegnato al resto del mondo tutti i suoi tesori, la sua eredità, culturale (il diritto), scientifica, tecnica. Perfino il linguaggio delle arti. Tutto, tranne la continuità religiosa. La scienza può camminare, e cammina, senza che un Galilei debba sforzarsi di conciliare fede e ragione.
Una nuova laicità
Sono i terreni sui quali si muove, ancora a tentoni, una nuova laicità. È una laicità che si è liberata dalle pastoie del laicismo, che può farne a meno ma non ha per questo una minore esigenza di rigore. Direi addirittura che ne ha maggiori possibilità. I confini della scienza e quelli della statualità hanno, o esplorano, orizzonti nuovi, imponenti, proprio perché globalizzati. Non è detto, per dire, che le statualità di domani, del Ventunesimo secolo, siano la continuazione diretta della vecchia, quella che aveva come parametro fondativo lo stato nazione di forme europee: oggi si avverte l'esigenza di confini continentali, plurinazionali se non antinazionali. La scienza guarda, a sua volta, alle esigenze di una umanità sempre più mobile, sempre più necessitante del soccorso di tecnologie e paradigmi sofisticati, persino azzardosi, capaci di mettere in discussione l'essenza dell'uomo, ma ritiene comunque di dover rendere conto solo a se stessa (non parlo degli eccessi dei fanatismo scientista) o ai legittimi rappresentanti dell'esperienza storica (cfr. Vico: "Veritas filia temporis"). Non per questo mi pare si debba lanciare l'allarme del pessimismo assoluto. Forse, anzi, è arrivato il tempo di una filosofia sperimentale, flessibile, antidogmatica, persino gioiosa, adeguata a quella che sempre più vuole essere una "società aperta".
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