Catto-sensibilità

Dalla Rassegna stampa

Bravi, quelli del quotidiano cattolico Avvenire. Fedeli obbedienti, non gli manca però una certa malizia, la consapevolezza di doversi muovere con una scioltezza di movimenti che li renda credibili presso il pubblico, che non è fatto solo di preti e suore, di sicuro.

Ovviamente, saranno assolutamente disciplinati sui temi cosiddetti sensibili: su certi argomenti non puoi essere leggero o dichiararti, infastidito, cattolico adulto o battitore libero; devi andarci giù pesante, senza riguardi. Dunque, giorni fa Avvenire ha dedicato un box, firmato dall'editorialista Umberto Folena, a una iniziativa militante dei Radicali torinesi. Quattro dei quali, guidati dal presidente di Radicali italiani, Silvio Viale, si sono presentati alla sede della giunta regionale piemontese con quattro sacchi pieni di Ru486, la pillola "abortiva" (le virgolette sono di rigore, quando il termine è usato da Radicali). Le ragioni della iniziativa sono facilmente intuibili, non le ripeterò. Folena invece l'ha stigmatizzata, definendola una "incommensurabile provocazione" che strumentalizzava il giorno della "Nascita" e della "vita" per "propagandare la "morte". Per di più, stravolgendo il significato di Babbo Natale, anzi di "san Nicola", spacciato per "abortista".

L'editorialista ha poi aggiunto: "... perché l'aborto, al di là delle intenzioni e dei motivi e dell'anima e del cuore della donna, che nessuno scruta e che nessuno giudica, è sempre morte". Ora, se ho capito bene - e spero di aver capito bene - qui c'è una chiara e netta distinzione tra l'aborto come fatto e le motivazioni, intenzioni e giustificazioni "dell'anima e del cuore della donna": la condanna è sospesa, "nessuno scruta, nessuno giudica". Sono parole di una sensibilità umana davvero apprezzabile. Sui Radicali, comunque, Folena non manca di versare un po' del consueto, ovvio sarcasmo, quando parla del "ginecologo Viale" come di un "leader sensibile". Ma di più non si poteva pretendere. Il cardinale Ravasi, uomo dí profonde e fini letture e abituato - come ricorda il quotidiano la Stampa - a "confrontarsi con chi non crede", esorta i medici cattolici - ma non solo - a "non rifugiarsi in formule di rito" di fronte "alla domanda drammatica sul perché della sofferenza e del dolore". Prendendo spunto dalla scrittrice americana Susan Sontag, che ha raccontato la sua esperienza di malata di cancro in un libro intitolato "La malattia come metafora", il cardinale avverte che "la malattia non è mai solo una questione biologica". Quando siamo ammalati "abbiamo bisogno di essere confortati, guardiamo alla vita in modo diverso... anche chi non crede può arrivare a chiedere a Dio il perché...". "Il dolore è una componente della finitezza delle creature. Un dato che nella nostra società orgogliosa e tecnologia (...) non si vuole accettare". E qui il cardinale racconta di quando anni fa, trovandosi in Iraq per ricerche archeologiche, uno dei suoi collaboratori lo invitò a casa sua; "così - prosegue il cardinale - avrei potuto vedere suo padre che stava morendo. Ci andai, e vidi quel vecchio adagiato al centro dell'unica grande stanza della casa, con le donne che cucinavano da un lato e i bambini che giocavano dall'altro e ogni tanto si avvicinavano al nonno per toccargli la mano". Devo dire che la contrapposizione tra una condizione di indigenza e povertà però ricca di calore umano e quella, arida e fredda, della società avanzata (occidentale?) mi è parso almeno forzata. Per la verità, il cardinale avverte che l'invenzione dell'ospedale, l'ambiente dove ormai avviene la maggior parte dei decessi, è merito del cristianesimo. Non sarà dunque il segno di una perdita di umanità e sensibilità, ma di un loro rafforzamento. Giusto, lo dico anch'io, pur nutrendo ancora l'affettuoso ricordo di mia nonna morta in casa, nel suo letto: io ero un ragazzino, ma la vegliai a lungo, leggendo un libro di preghiere. Se poi cerca di allontanare il momento della morte spingendo le aspettative di vita "fino a 120 o 130 anni", la società tecnologica lo fa in nome della pietas (cristiana? Postcristiana?) verso l'uomo.

Ma un Vaticano III è affare da papi

Il mondo cattolico è travagliato e lacerato molto di più di quanto non si voglia credere o magari far credere. L'informazione in merito è piuttosto carente o reticente, almeno in Italia. Leggo un articolo di Alberto Melloni il quale arriva ad auspicare, apertamente anche se in toni sfumati, che prima o poi si tenga "un sinodo generale dei vescovi", "l'organo che con la sua impotenza canonica irride la collegialità episcopale e con la sua semplice presenza ne riacutizza la necessità". Melloni si spinge a osservare che i possibili temi di un simile consesso (comunque non un "Vaticano III", la cui convocazione spetterebbe solo al Papa) sono stati appena "sfiorati dal magistero di Karol Wojtyla: la 'carenza dei ministri ordinati', la 'posizione della donna', la partecipazione 'dei laici ad alcune responsabilità ministeriali', la 'sessualità, la disciplina del matrimonio, la prassi penitenziale', e infine il 'ravvivamento della speranza ecumenica"'. A me, ignorante di cose sacre, dottrinali o liturgiche, paiono parole forti. E non sono state pronunciate da un laicista intollerante.

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