Per carità

Le opere buone della chiesa e la necessità, oggi più che mai, di compiere azioni più complesse Sono lettore, anche se non assiduo, della colonnina di Francesco Agnoli, quella che ogni giovedì, dal lato opposto della pagina, fronteggia la mia sotto il titolo generale "Controriforme" (la mia è "Riforme"). Agnoli e io siamo come i tennisti di "Blow-Up", il film di Antonioni, che giocano tra di loro ma senza la pallina, il loro è un gioco tutto mentale. Giovedì scorso, la colonnina di Agnoli era davvero interessante, l'ho letta con grande attenzione. Raccontava dell'ingresso di due alunni sordi nella scuola dove Agnoli (credo) insegna, e dei problemi di gestione che essi, con la loro peculiare disabilità, hanno posto alla classe e ai docenti. Agnoli racconta però anche come, appassionatosi alla loro sorte e scavando nella storia di quell'handicap, egli sia arrivato a ricostruire una vicenda di carità cristiana sconosciuta quanto straordinaria. Secondo Agnoli, i sordomuti hanno avuto per secoli un destino crudele. Nelle antiche Grecia e Roma essi "erano sovente condannati all'infanticidio, alla schiavitù, all'emarginazione". Sant'Agostino ne difese la dignità, ma è solo nel XVI secolo che avviene la grande svolta, quando il monaco benedettino spagnolo Pedro Ponce de Léon concepì e avviò per loro una valida forma di educazione all'espressione, "partendo dal principio che la parola parlata non è soltanto un fenomeno uditivo, ma anche visivo". Padre Ponce de Léon sviluppò un complesso sistema di comunicazione per i sordi, riuscendo anche a far comprendere ai suoi alunni "concetti di carattere filosofico e teologico". Dietro al grande educatore, altri si impegnarono nel recupero funzionale - e sociale - di quei disabili: quasi tutti erano monaci e sacerdoti. Alla loro attività si deve l'apertura anche di scuole per sordi e muti, all'estero ma anche in Italia, la prima delle quali a Roma, nel 1784, essendo Papa Pio VI.
Checché ne cavillino laicisti e anticlericali doc, non dubito che la storia della chiesa sia ricca di episodi che mostrano quanto in essa sia stata sempre presente l'attenzione per le opere buone, parte integrante - ai fini della salvezza dell'anima - della sua teologia. E non si parli solo dì vicende personali, ma anche istituzionali. Mi stupì visitare anni fa a Roma il gigantesco complesso monumentale di San Michele, in prossimità di Porta Portese, ideato e realizzato, a partire dalla seconda metà del XVI secolo, per raccogliervi istituzioni benefiche destinate ai poveri, alle donne e ai ragazzi "discoli", con una grandiosità e intelligenza funzionale che poche altre città del tempo potevano vantare; c'era anche un carcere femminile (maschilisticamente dedicato "coercendae mulierum licentiae et criminibus vindicandis", cioè a reprimere la licenziosità delle donne), progettato da Carlo Fontana, che fu di modello per le carceri moderne. Anche se non amo figure come madre Teresa o lo sfruttamento del nome di padre Pio per erigere faraonici ospedali e sanatori, sotto certo che le opere di carità della chiesa si sviluppano anche in epoche vicine a noi. Ovviamente, buona parte di quelle opere cui la chiesa si dedicò nei tempi come conseguenza del suo potere temporale sono passate (perfino migliorandosi) nelle mani pubbliche, rendendo meno indispensabile il suo intervento.
La vicenda dell'8 per mille tedesco
Ma la carità dovrebbe avere anche altre forme, credo più complesse. La settimana scorsa mi sono occupato della vicenda dell'episcopato tedesco, che ha escluso dalla comunione dei fedeli compreso il funerale religioso - quanti si rifiutino di versare a favore della chiesa la trattenuta fiscale stabilita per legge, qualcosa di simile al nostro otto per mille. La cosa aveva sollevato parecchie contestazioni oltre ad aver incontrato, pare, la disapprovazione del Vaticano che però sembra alla fine essersi ricreduto. Leggo adesso sulla stampa che il Tribunale amministrativo federale di Lipsia ha dato ragione alla chiesa: poiché lo stato ha stabilito che i cittadini registrati come appartenenti a una confessione (non solo la cattolica) sono tenuti a pagare questa tassa straordinaria, un cattolico non può, rifiutandosi di farlo, "chiedere allo stato di limitare i diritti della chiesa". Sarà, ma mi viene in mente che, in Italia, quando la magistratura interviene per limitare le richieste della chiesa sui temi etici, i cattolici (o i clericali) insorgono deprecando che essa mette bocca su problemi che rientrano nelle prerogative assolute della chiesa. La vicenda tedesca è un po' diversa ma poi non tanto. Così la chiesa tedesca continuerà a ricevere ogni anno circa 5 miliardi di euro, nonostante ogni anno una media di centomila fedeli l'abbandonino.
Ma la questione ha caratteri un po' più vasti. Il problema non sono i soldi. Fino a che punto la chiesa può contaminarsi con le istituzioni mondane, tribunali o stato che sia? Non dovrebbe esserci il momento in cui l'istituzione deve deperire in quanto tale, per aprirsi a quell'impulso supremo, universale, "fuori legge", in cui è l'essenza della carità? E infine: anche se laico e dunque un po' un intruso non posso fare a meno di chiedermi perché la chiesa non possa, essa stessa, vivere di carità.
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