Carceri, caro Pannella chiedici qualcos'altro

A guardarlo è impressionante, Marco Pannella, con quei capelli bianchi e lunghi, un po' strega, un po' vecchio poeta, la voce che non scandisce più le parole, impastata, querula. Il ricordo di un'antica bellezza e la statura, su quel corpo danneggiato dalla disidratazione, intimidiscono come la prova che quell'80enne lì, volesse, sarebbe in ottima salute, con altri 20 anni di vita davanti. Il messaggio, veicolato da questa spettacolare prova tecnica di masochismo, acquista forza e potenza. Tutti siamo costretti a interrogarci sugli ultimi degli ultimi, che costituiscono la maggioranza della popolazione carceraria. Li immaginiamo senza spazio vitale, addossati l'uno all'altro, in loculi di cemento. Ci sentiamo soffocare, per effetto di un'empatia che passa, come in una cerimonia sacra, per il martirio di un uomo. Contiamo il numero dei suicidi dietro le sbarre e ci vergogniamo di non averle divelte con le nostre mani prima che diventassero il sigillo sulla bara di tanti giovani. Vorremmo fare qualcosa, non tanto per le funzioni vitali di Pannella, quanto per risolvere il problema a cui quelle funzioni vitali sono state dedicate. Siamo pronti a firmare, a manifestare, ad aderire. Ma lui, San Marco, vuole un sacrificio più grande. Ci dobbiamo anche noi disidratare? No, ci dobbiamo candidare. In una lista che è intitolata a una battaglia. Come se nel 1972 avesse tentato una "Lista Divorzio". Ha ricevuto più no che sì: dalla professione politica, chi ne ha un'altra, magari meno sputtanata, si scansa con vigore. Chiedici qualcos'altro, Marco. La lista no, piuttosto si cammina scalzi sulle braci.
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