Caos egiziano responsabilità Ue

Quella crisi era prevedibile? In queste sete le diplomazie europee sono state pesantemente accusate di aver fatto di tutto per ignorare il peggioramento della crisi politica e istituzionale in Egitto. Eppure, le potenze europee e gli Stati Uniti avrebbero avuto un certo margine per poter intervenire attraverso i mezzi della diplomazia E ad essere la leader di questa politica avrebbe dovuto essere il nostro paese. Tutti ricordano che il nostro ministro degli Esteri Emma Bonino ha vissuto per mesi in Egitto e conosce molto bene la situazione di quel paese. Se si osservano con attenzione i fatti accaduti tra marzo e giugno in Egitto si scopre che il destino di questo paese è stato scritto dall’indifferenza dell’occidente. Ma andiamo per tappe cercando di ricostruire quello che è accaduto in questo paese: alla fine di marzo la Corte d’appello del Cairo ha annullato la decisione di sostituire il Procuratore generale adottata nel novembre 2012 dal presidente Morsi, dando ragione alle opposizioni, ed entrando in conflitto con i Fratelli Musulmani, che sostengono strenuamente colui che aveva preso il posto di Mahmoud; ovvero Talaat Abdallah. Pochi giorni dopo, in un Egitto agitato anche da preoccupazioni per la libertà di espressione, accentuate dall’arresto del comico televisivo Bassem Yussef per offese al presidente Morsi, tornava anche a scorrere il sangue fra copti e musulmani, stavolta nella piccola città di Khusus, nei pressi della capitale, dove per futili motivi scoppiavano gravi scontri interreligiosi con la morte di quattro cristiano-copti e di un musulmano (5 aprile): il 7 aprile nuovi scontri si verificavano, in occasione dei funerali al Cairo dei quattro cristiani, davanti alla cattedrale di San Marco, registrando una nuova vittima e un’ottantina di feriti. Nei giorni successivi, il presidente Morsi ha dovuto far fronte al sequestro di una settimana di sette agenti della sicurezza, avvenuto nel Sinai, per ottenere il rilascio di sei islamisti detenuti con l’accusa di aver assaltato un posto di guardia egiziano uccidendo sei poliziotti. Come sempre, il confronto con gli islamisti è per i Fratelli musulmani al tempo stesso stimolante e rischioso, così come il rapporto dell’Egitto con Gaza - che, a fronte della riapertura del valico di Rafah, si è vista distruggere quasi trecento tunnel sotterranei di collegamento con il territorio egiziano per rifornimenti di vario tipo. I sette agenti sono comunque tornati in libertà il 22 maggio. All’inizio di giugno si è avuto un ennesimo scontro tra potere giudiziario e potere politico nell’Egitto dei Fratelli Musulmani: infatti la Corte costituzionale ha di fatto dichiarato l’illegalità del Consiglio consultivo (Shura), il ramo superstite del Parlamento dopo che un anno prima la medesima Corte aveva annullato la legge elettorale per l’Assemblea del popolo (la Camera bassa). Il Consiglio consultivo, teoricamente privo di poteri legislativi, è stato tuttavia messo in condizione di esercitarli dopo lo scioglimento dell’Assemblea del popolo: viene accusato dagli ambienti laici di essere sotto il dominio dei Fratelli Musulmani e dei movimenti salafiti. Da ultimo, aveva destato allarme proprio negli ambienti giudiziari il progetto legislativo di un massiccio turn-over di magistrati, che evidenziava la volontà di far affluire in magistratura un gran numero di islamisti.
Ma non basta. Inoltre, la Corte costituzionale - sempre in quei giorni - aveva stabilito che l’Assemblea costituente, che aveva redatto il testo costituzionale sottoposto a referendum nello scorso dicembre, era stata anch’essa formata sulla base di principi incostituzionali. Ed è in questa situazione che è maturata la "riscossa" dei militari. Questo mix di pericolose rotture istituzionali è passato senza che vi fosse un intervento autorevole in grado di fermare questo dramma. Perché questo non è accaduto? La domanda resta ancora senza risposta E su questo l’Unione europea ha una grande responsabilità. governo brasiliano di sinistra fossero finite. Ma il 17 agosto scorso i manifestanti sono tornati in piazza contro i governi regionali a Rio de Janeiro e San Paolo. La reazione della polizia è stata durissima ed è stata accusata di aver reagito con brutalità. A San Paolo, alcuni manifestanti hanno fatto irruzione nelle sedi della Camera municipale e dell’Assemblea legislativa. In Europa molti fanno ancora fatica nel capire le ragioni di questa crisi. Non c’è dubbio che il Brasile vive da alcuni anni una fase di grande espansione produttiva, rallentata negli ultimi due anni dagli effetti della crisi economica internazionale e dai provvedimenti del governo di sinistra volti a tenere sotto controllo l’inflazione. La crescita è stata calcolata intorno al 2,7% nel 2011 ed all’1,3% nel 2012 (ma nel 2010 il PIL era cresciuto del 7,5 per cento). La congiuntura, almeno fino a qualche settimana fa, era molto positiva anche sotto il profilo sociale, poiché il tasso di disoccupazione era giunto ai minimi storici e anche la diseguaglianza nella distribuzione del reddito è diminuita progressivamente negli ultimi 14 anni. Il Brasile è una delle economie più dinamiche a livello globale e, oltre ad essere uno dei cinque paesi emergenti a maggiore crescita economica (BRICS), si colloca dal 2011 al sesto posto nella classifica mondiale delle potenze economiche, dopo aver scavalcato il Regno Unito. È, tra i BRICS, il paese che più si avvicina alle democrazie occidentali, avendo adottato da anni un modello di sviluppo che coniuga le regole di mercato con le politiche di contrasto alla povertà. Il dilagare delle contestazioni che hanno portato in strada centinaia di migliaia di persone a partire dall’inizio del mese di giugno, ha colto di sorpresa il governo di Dilma Roussef. Chi protesta? La classe media. È proprio la classe media ad essere maggiormente scesa in piazza nelle ultime settimane: è stato stimato che a San Paolo il 75% dei contestatori possiede una laurea, una percentuale di gran lunga superiore alla media nazionale.
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