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Passati vent'anni si possono trovare ricorsi storici ma è più difficile ritrovare gli stessi protagonisti. Eppure qualcuno c'è ancora. Per esempio il pm milanese Paolo Ielo, allora assai giovane ma già notevole esperto di reati societari. Personaggio che all'epoca sfoggiò irruenza di accusatore arrivando a definire Craxi "criminale matricolato", salvo poco dopo ammettere almeno la caduta di stile. Da qualche anno, dopo una parentesi nei ranghi della magistratura giudicante, è pubblico ministero a Roma e si occupa di indagini con significativi incroci con la politica, prima fra tutte quella su Finmeccanica. Dunque il suo parere sulla legge anti-corruzione merita interesse. E le cose che ha detto due giorni fa al Corriere della Sera non sono scontate. In sostanza senza una vera riforma del processo penale, sostiene Ielo, anche le nuove norme serviranno a poco. Peraltro alcune nuove fattispecie che fanno discutere sono di fatto già perseguite sulla base di sentenze della Cassazione. Quello che il dottor Ielo mette in risalto è la lunghezza del processo senza però proporre l'allungamento dei tempi di prescrizione. La riforma del processo penale serve perché "le indagini non si fanno per scrivere i titoli dei giornali, ma per fare i processi oppure per evitarli". Avesse detto "non si dovrebbero fare" sarebbe stato perfetto, ma forse era chiedere troppo.
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