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Devo all'avvocato Domenico Battista, dell'Unione camere penali, il ripescaggio di una polemica di dieci anni fa a proposito di privacy e conservazione dei dati personali del traffico telefonico. Uno dei due protagonisti della polemica fu il nostro eroe, il magistrato dei due mondi, Antonio Ingroia, che inviò al quotidiano la Stampa una vibrante lettera di protesta contro un intervento dell'allora Garante della privacy in cui si ricordava che il tempo massimo di conservazione dei tabulati telefonici non poteva superare i cinque anni. Troppo pochi secondo Ingroia che scriveva: "La protezione dei dati personali noi la chiamiamo espansione degli spazi di impunità dei criminali". Inevitabile la replica del Garante, replica impietosa. Si faceva notare fra l'altro, a un magistrato che avrebbe dovuto saperlo, che quel limite era stabilito non dal Garante ma dal codice civile. "E poi - proseguiva la replica - 'noi' chi? Se Ingroia pensa di parlare a nome della magistratura sappia che autorevoli magistrati hanno espresso opinione del tutto opposta". Infine si sosteneva che nel suo intervento Ingroia "mostrava scarso senso delle istituzioni" e si rivendicava di aver posto un problema "segnalando un'anomalia italiana perché ne discutano Parlamento e opinione pubblica". Tutto ciò nel maggio 2002. Non vi ricordate chi fosse il Garante? Pensate a un manutengolo del Cavaliere, allora governante? Vi sbagliate. Era Stefano Rodotà.
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