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La mancata firma del procuratore capo, sotto la richiesta di rinvio a giudizio per gli imputati dell'inchiesta sulla trattativa, è un fatto. Ma è opinabile. Si può sempre sostenere che ha comunque messo il suo visto al documento. È sempre meglio evitare le discussioni stucchevoli. Alcuni fatti però non sono ambigui. Per esempio il fatto che il dottor Ingroia va in Guatemala perché l'ha chiesto lui. Nessuno aveva il potere, nemmeno indiretto, di mandarcelo. E' un altro fatto che Ingroia abbia dichiarato di non credere alla possibilità di grossi passi avanti verso la verità nell'inchiesta appena conclusa e che per questo ha scelto di andare in Guatemala. Non è precisamente uno spot pubblicitario per l'ipotesi accusatoria. Sicuramente il pm palermitano non parla così a causa dell'iniziativa del presidente Napolitano. Primo perché Ingroia stesso ha definito le telefonate irrilevanti, dunque prive di qualsiasi nuova verità processuale. Secondo perché anche se la Corte costituzionale dovesse dare ragione al presidente non ci sarebbe alcun riflesso sul procedimento avviato. Infine perché Ingroia ha chiesto di andare in Guatemala prima che il Quirinale si rivolgesse alla Consulta. Tutti questi sono fatti indiscutibili. Su questa solida base si può elaborare una interpretazione, non necessariamente benevola, della scelta guatemalteca del dottor Ingroia. Domani.
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