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Forse la parola chiave della giornata di ieri sul fronte della riflessione a vent'anni dalla strage di via D'Amelio non è "trattativa" e nemmeno "conflitto d'attribuzione". La parola chiave è forse "messaggio alle Camere", chiave da preferirsi perché apre la grande porta della politica e non quella del sottoscala della cronaca giudiziaria. Chiave usata ieri in tre versioni diverse. Di Pietro l'ha evocata con furbizia grossolana, rimproverando al presidente della Repubblica di aver usato lo strumento del conflitto di fronte alla Consulta piuttosto che il meno devastante, a suo parere, messaggio alle Camere. Figuriamoci, se l'avesse davvero fatto, cosa avrebbe potuto scrivere Travaglio. Rino Formica, a tutt'altro livello, con passione politica nobile, chiede al presidente un messaggio al Parlamento sullo stato della Repubblica. Un gesto politico forte e rischioso, perché sancirebbe una assunzione piena di leadership da parte del presidente. La terza possibilità d'uso dello stesso strumento, è quella silenziosamente riproposta dai quasi quindicimila carcerati che hanno aderito attraverso "radio carcere" alle giornate non violente organizzate dai radicali in sostegno all'appello del professor Pugiotto e di oltre cento giuristi, di cui già ha scritto ieri qui Adriano Sofri. Sarebbe la chiave per affrontare, con uno strumento proprio, la "prepotente urgenza" del ripristino della legalità, avvertita ormai un anno fa, dal nostro presidente.
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