La bomba a orologeria dell'immigrazione

Un grande problema cova sotto la cenere: è quello della gestione - esplosiva - dell’immigrazione, tra centri di espulsione e rimpatrio, anche alla luce della ripresa degli sbarchi. Punto di partenza per il nuovo governo - che finora non ha preso posizione, e già questa omissione non è di buon auspicio - è l’ultimo tassello messo dall’esecutivo Mario Monti: l’offerta di 500 euro e documenti di soggiorno per indurre gli stranieri a lasciare il Paese, che ha creato una tensione pesante con la Germania. Sotto accusa, tanto per cominciare, la circolare del ministero dell’Interno italiano del febbraio 2013 che ha previsto una "buonuscita" (appunto, di 500 euro) per gli immigrati che lasciano i Centri di accoglienza allestiti in via provvisoria per l’emergenza profughi provocata dalle rivolte della Primavera araba nel 2011. Un provvedimento che ha riguardato - potenzialmente - 1,3 mila persone (di profughi in Italia ne sono arrivati 62 mila tra il 2009 e il 2012). Il suo risultato è stato che centinaia di clandestini si sono spostati in Germania. E infatti, il ministro bavarese Joachim Hermann, il 15 marzo, ha definito l’Italia «sfacciata» nel disfarsi a pagamento dei suoi profughi. Il governo tedesco ha poi reagito sollevando esplicitamente il caso in un vertice di metà maggio con l’Italia. «Qui è noto che enti italiani, con la chiusura dei centri temporanei di accoglienza, hanno emesso documenti che autorizzano il soggiorno e il viaggio, conformi a Schengen, in singoli casi dopo verifiche individuali, a rifugiati riconosciuti e a persone con una protezione sussidiaria proveniente dal Nordafrica», ha spiegato un portavoce del governo di Berlino. «Nel caso in cui i prerequisiti per l’ingresso e il soggiorno in un Paese non esistano, o non sussistano, questo diritto di viaggio non può essere rivendicato, e si possono prendere in considerazione misure che pongano termine al soggiorno». Il governo tedesco non cede: «In un incontro, i rappresentanti italiani hanno spiegato che in casi del genere, come previsto dalla legge, sono disposti a riaccogliere i migranti», ha affermato il governo.
Alfano e Bonino. Una bella grana pronta per il governo Letta, che finora si è limitato a cambiare nome al Dipartimento per la cooperazione internazionale e l’integrazione (istituito nel 2011 dal governo Monti e guidato da Andrea Riccardi), denominandolo Dipartimento per l’integrazione, affidato al ministro Cécile Kyenge. Ma il titolare del dicastero che ha le maggiori responsabilità in fatto di immigrazione, il Viminale, ovvero Angelino Alfano, finora è stato silente. E come lui, il ministro degli Esteri Emma Bollino, nonostante la Farnesina vanti non poche competenze, specie in tema di accordi bilaterali mirati a bloccare l’immigrazione clandestina. L’unica a parlare è stata Kyenge, che si è pronunciata a favore della concessione dello "ius soli" e per l’abolizione dei Centri di identificazione ed espulsione. Proprio in queste realtà si cela la bomba pronta a esplodere: i Cie sono luoghi disumani e inefficienti, il business delle cooperative che li gestiscono costa allo Stato 55 milioni di euro l’anno, ma se i Cie chiudono, e gli "ospiti" che ancora li abitano finiscono in strada - magari provvisti di 500 euro e di un titolo di viaggio - si assisterà all’esplosione di un problema già ampiamente visibile in molte in città, dove tanti esseri umani senza destino girano senza meta, consapevoli del fatto che Paesi europei come la Germania non li accoglieranno e, anzi, li rispediranno al mittente in Italia. E il rimpatrio volontario? Difficile credere che siano pronti ad aderire ai relativi programmi. Paesi come la Svizzera hanno risolto il problema con un sistema di "quote" per nazionalità (ogni anno è accolto un certo numero di migranti per ogni Paese extra Unione europea) e con una rigida programmazione basata sulla capacità di assorbimento dell’economia. Ogni persona è monitorata poi via computer, ha diritto al sussidio di disoccupazione (proprio come i cittadini svizzeri) per un certo periodo di tempo se perde il lavoro: se, dopo vari tentativi, non lo dovesse ritrovare, non potendo restare inoccupato sul suolo svizzero, deve ritornare in patria.
Interessi malavitosi. In Italia, invece, il caos va oltre la questione sollevata da Berlino. A cominciare dal coinvolgimento degli enti locali che si ritroveranno ad affrontare la chiusura dei Cie (a Bologna il centro è temporaneamente chiuso) e l’eventuale diffusione di clandestini sul territorio. Carlo Melegari, presidente del Centro studi immigrazione di Verona, denuncia: «I Cie negano i più elementari principi giuridici: non si può trattenere la gente a lungo, un anno e mezzo, in condizioni peggiori del carcere. I Cie sono uno strumento di vessazione che non risolve niente, che serve gli interessi delle lobby degli appalti, e che crea clandestini e irregolari funzionali solo al lavoro nero. Gli irregolari, che siano badanti o muratori,valgono dal 20 al 30% dell’economia nazionale: le "agenzie" malavitose ne approfittano, ma la classe politica chiude un occhio per non affrontare polemiche e per lasciare che l’economia si serva di lavoratori a basso costo, come badanti e muratori». Melegari aggiunge un dato: «Il l10-15% dei 5 milioni di immigrati presenti in Italia è irregolare: 500-700mila persone che lavorano per il 90% nell’economia sommersa. Ma il governo non sa come agire». Attualmente la legge prevede due differenti tipologie di respingimento alla frontiera, quattro tipi di espulsioni giudiziali e ben sedici differenti tipologie di espulsioni amministrative. A questa inflazione di tipi di espulsione non corrisponde né efficienza né garanzie. L’avvocato milanese Livio Neri, specializzato in materia di diritti dei migranti, spiega: «I Cie nascono sulla scia dei Centri di permanenza temporanea creati dall’allora ministro Giorgio Napolitano con la legge Turco-Napolitano. I tempi di permanenza non dovevano superare originariamente i 30 giorni, poi sono saliti a 60 con la Bossi-Fini, a 180 con il pacchetto di sicurezza Maroni e ora a 18 mesi. Il tasso di effettività nel rimpatrio, inoltre, è bassissimo, il 40,3%». Ma che fine fanno queste persone, una volta uscite dai Cie? «Spesso li ritroviamo in strada», dice Neri, «altri hanno il permesso di soggiorno umanitario convertibile in permesso di lavoro, ma non lo trovano. Insomma, c’è molto caos in materia. Il governo tecnico di Monti poteva risolvere molte cose, ma non lo ha fatto. E anche il governo Letta ancora non prende posizione, mentre lo Stato continua a spendere somme enormi e senza risultato nei Cie».
I ricorsi vinti. Quanto alla tensione Italia-Germania l’avvocato Neri ammonisce: «Da Germania e Francia stanno rimandando indietro molti immigrati partiti da qui, l’Italia avrebbe dovuto gestire meglio il problema e non lo ha fatto. A questa emergenza va aggiunto che molti immigrati fanno ricorso contro il diniego dell’asilo, con un grave peso per i nostri tribunali, tra giudici onorari da assumere ad hoc e alti costi. E spesso le cause vengono vinte». Abbiamo chiesto per iscritto ai ministeri dell’Interno (Alfano), degli Esteri (Bonino) e dell’Integrazione (Kyenge) come intendano affrontare una situazione che ormai rischia di esplodere. Risposte? Ancora nulla.
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