Bocche cucite nei Cie: anche quelle sono delle torture

La notizia che altri tredici migranti abbiano deciso di cucirsi la bocca all’interno del Cie di Ponte Galeria a Roma, ripetendo un estremo gesto di protesta già avvenuto solo un mese fa, deve far tornare a riflettere le istituzioni sull’introduzione del reato di tortura nel nostro ordinamento.
Paolo Izzo
«Anche quella che i tredici nordafricani, incolpevoli di alcun reato e in attesa dell’autorizzazione all’asilo politico, si sono oggi come ieri autoinflitti, impedendosi di parlare e di nutrirsi con questa sconvolgente azione continua la lettera potrebbe essere ravvisabile come una forma di tortura da parte dello Stato, che dovrebbe invece scongiurare e prevenire quelle che sono mere conseguenze dei propri abusi e delle proprie negligenze. Inoltre, anche a Roma, per l’inadempienza dei responsabili della struttura e per le condizioni inumane e degradanti in cui si trovano i suoi cosiddetti ospiti, sarebbe opportuna l’immediata chiusura del Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria, proprio come richiesto a Torino, con una mozione al governo, da esponenti Sel e Pd del Consiglio comunale, per il Cie di corso Brunelleschi». Una decisione possibile, aggiungo io, all’interno del clima nuovo che si comincia a registrare intorno alla questione perché la cancellazione del reato di clandestinità ad altro non può corrispondere ora che alla chiusura di centri pensati, al tempo dei Maroni e dei Berlusconi, come centri destinati a punire e a scoraggiare chi in Italia era venuto a creare loro dei problemi: con loro elettori e con la loro personale difficoltà ad accettare l’idea per cui gli esseri umani hanno (dovrebbero avere) pari dignità. Indipendentemente dal colore della pelle e dal peso dei loro portafogli.
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