I blindati contro i manifestanti In Ucraina è un bagno di sangue

Dalla Rassegna stampa

«Gloria all’Ucraina!». S’alzano i bastoni, mulinano i manganelli. Molotov contro idranti. Blindati e auto rovesciate. Granate stordenti e colpi d’ascia. Inni e sassaiole. Vanno in fiamme le tende della protesta, va in fumo nella notte la speranza d’un dialogo. Ci siamo, tre mesi possono bastare: i Berkut, i corpi speciali della polizia ucraina, alle sette della sera scavalcano l’ultimissimo degli ultimatum, rovesciano le barricate, spianano la voglia d’Europa, rivogliono l’ordine di Mosca. Quattordici morti, sei sono poliziotti. Duecento feriti, sette molto gravi, decine di reporter all’ospedale. E la battaglia di piazza Maidan, la piazza dell’Indipendenza: per non dipendere più dalla Russia e dal disperato bisogno di rubli, per aggrapparsi all’Ue e a quei Ventotto che solo adesso, al novantesimo giorno di resistenza e al quarto assalto di lacrimogeni e sangue, timidamente cominciano a ipotizzare - forse, vedremo, chissà qualche sanzione.

Tutto si compie in una notte rosso fuoco. Battaglia all’arma bianca, un accerchiamento da Guardia Bianca che nemmeno Bulgakov. Il presidente filorusso Viktor Yanukovich nel primo pomeriggio sigilla i sotterranei della metropolitana. Muove i mezzi corazzati e mobilita novemila uomini d’esercito e sicurezza. Sistema i posti di blocco sulle strade d’accesso a Kiev «per evitare un’escalation di violenze», ovvero che dall’ovest filoeuropeo arrivino i rinforzi ai rivoltosi di Maidan. A Leopoli, altra capitale della rivolta, i palazzi del governo e della polizia sono assaltati. «Le pene saranno durissime», avverte il procuratore generale, ma a Maidan in ventimila restano dove sono. «Yanucovich consuma una guerra contro il suo popolo è l’appello del pugile Vitali Klitschko, leader dell’opposizione -. Non ce ne andremo, perché questa è un’isola di libertà!». Quando cala il buio, il segnale del peggio lo dà il ministero dell’Interno: «Avvertiamo i fanatici, abbiamo i mezzi per riportare l’ordine, dopo le 17 interveniamo». «Donne e bambini lascino la piazza!», ordina concitato Klitschko che nella notte incontrerà Yanukovich per «parlamentare». Il resto è l’inevitabile: «Picchiano tutti e senza pietà - è l’unico messaggio che alle 21 e 17 c’invia Kateryna M., un’attivista affacciata a una finestra della piazza -. Ci sono volti insanguinati. Qualcuno scappa da edifici in fumo. Stavolta è dura».

Dura lex sed Putin. Il pugno di ferro che Mosca esigeva. La giornata più feroce d’Euromaidan nasce da una notizia che un tempo finiva nelle pagine d’economia: dalla Russia arrivano altri due miliardi di dollari. «Un gesto di fiducia» (dice il Cremlino), «il prezzo della schiavitù» (grida Klitschko): la seconda tranche del prestito da 15 miliardi che in dicembre, quand’è saltato l’accordo d’adesione all’Europa, Putin ha accordato a Kiev in cambio della fedeltà di sempre. Soldi benedetti da Yanucovich - non c’è una grivnia nemmeno per pagare gli impiegati pubblici - stramaledetti dalla piazza. La rabbia ci ha messo poco a rientrare: i duemila dell’ala «militare» hanno rioccupato il municipio di Kiev, che domenica avevano abbandonato dietro rilascio di 234 arrestati. Barricate a duecento metri dal Parlamento. Babushke attrezzate di garze e disinfettanti. Alle undici di sera, mentre Maidan bruciava da ore, Yanukovich ha chiamato i capi della rivolta. «Non annegare il Paese nel sangue», gli ha risposto Arseniy Yatsenuk, l’ex ministro filoccidentale. Una tregua è possibile, dicono dagli Usa. «Una guerra civile è alle porte», tuonano i filorussi. «A Kiev sta nascendo una dittatura!», gridano i vescovi uniati. Di sicuro, sta morendo un altro po’ di democrazia.

 

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