Bersani tira dritto: "Non c'è alternativa alla mia proposta"

Dalla Rassegna stampa

«Io tiro dritto per andare fino in fondo, non esiste alternativa alla mia proposta di un governo di minoranza, perché se è vero che questa strada è difficile e complicata, altre ipotesi sono altrettanto difficili, se non di più». Chi ha parlato con Pierluigi Bersani in queste ore lo dipinge come ben determinato a non demordere e oggi in Direzione il leader Pd cercherà di compattare il partito con un voto se possibile unanime per arrivare alle consultazioni con Napolitano da una posizione di forza. Certo per riuscire a non complicare una riunione che altrimenti potrebbe trasformarsi in uno psicodramma, per evitare che si aprano dibattiti molto spinosi dagli esiti imprevedibili, Bersani starà ben attento a non porre l’aut aut che spaccherebbe il partito, evitando di evocare elezioni immediate come sbocco inevitabile in caso di fallimento della sua sfida a Grillo. Consapevole che si tratta di un percorso già bocciato dal leader dei 5 Stelle, si limiterà a piantare sul terreno un paletto, dicendo no ad altre ipotesi di governo con Berlusconi, ma oltre questo non dovrebbe andare. Perché «siamo rispettosi del fatto che la scelta spetta comunque a Napolitano, ma è altrettanto evidente che chi ha la maggioranza assoluta alla Camera e quella relativa al Senato possa tentare una strada».

E questa strada che altro non è se non una sfida a Grillo a dire di no verrà delineata indicando gli otto punti di questo «governo del cambiamento» che verranno presentati con precise proposte di legge di qui ai prossimi giorni: Europa, per una correzione delle politiche Ue; misure urgenti per il lavoro e il fronte sociale; riforma della politica; leggi contro corruzione e mafia; conflitti di interesse; green economy ed efficienza energetica; diritti; istruzione e ricerca. Una serie di punti programmatici con una «piattaforma che parta dal basso, raccogliendo contributi da associazioni e movimenti», per mettersi in sintonia con il mondo dei grillini. Ecco, se il perimetro rimarrà questo, le cose dovrebbero filare via lisce, anche perché nessuno dei maggiorenti ha intenzione di aprire oggi una fronda contro il segretario, da cui tutti almeno si aspettano un’analisi del voto realistica, «come di una sconfitta e non certo una vittoria», fa notare un ex Dc. Ma dietro questo proscenio, tutto è in movimento: incontri e contatti ad ogni livello, pranzi tra bersaniani e renziani per sondarsi sul dopo e diplomazie di ogni sorta all’opera per evitare strappi. Non è piaciuto affatto nel quartier generale di Bersani il colloquio di due ore tra il sindaco di Firenze e il premier Monti, vissuto come indebita ingerenza nelle questioni interne ad un altro partito. E sullo sfondo si muovono due diverse visioni nel caso, dato da molti per scontato, che il tentativo di fare un governo a guida Pd con i voti di Grillo non vada a buon fine: c’è chi come i giovani turchi e molti bersaniani immagina di andare a votare a giugno o luglio, magari addirittura con Bersani ancora al timone della coalizione; e chi pensa sia meglio tornare a votare non prima di un anno, dopo una parentesi di un governo del presidente che faccia poche essenziali riforme. E a questa categoria possono essere iscritti big come Veltroni, Gentiloni o Fioroni, ma anche Franceschini o Letta, che vogliono esser leali fino in fondo con Bersani ma sono convinti che prima di votare bisognerebbe comunque cambiare il Porcellum che riporterebbe a una situazione di ingovernabilità con doppie maggioranze nelle due Camere. «Mi auguro che la Direzione ribadisca l’importanza di dare un governo al Paese e di porre Grillo di fronte alle sue responsabilità», la mette così Fioroni. «L’incarico a Bersani non posto come un aut aut al Colle», fa notare Gentiloni. Magari tra il leader e la pancia più dura dei 340 deputati, «di cui 290 non voterebbero niente con Razzi e Scilipoti», per dirla con un bersaniano, ci potrà essere un gioco delle parti: con i pasdaran alla Orfini o Fassina che potrebbero ripetere quanto vanno dicendo in queste ore: «Non rientra tra le prerogative del Colle definire la linea politica del Pd», avverte Orfini. «O governo di scopo o si vota», taglia corto Fassina. «Il Pd sarà unito su una proposta chiara: noi diciamo no a ipotesi di governissimi con Berlusconi», è la linea della Finocchiaro concordata con Bersani.

 

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