Berlusconi: "Noi fino al 2013 cambieremo nome al Pdl"

Vuole andare avanti fino al 2013, o almeno, più modestamente, fino al prossimo dicembre, perché così -è convinto il premier- non si andrà alle elezioni anticipate. Per risollevare il morale dei suoi deputati, ultimamente un po' sfilacciati e sempre sull'orlo della sconfitta parlamentare, Berlusconi incontra il gruppo pdl e lo sprona a non perdersi d'animo. Intanto cambiando nome, perché «Pdl, questo acronimo non comunica niente, non emoziona, non commuove. Chiediamoci se non sia il caso di cambiare nome. Che comunque non sarà Forza Silvio». Incita i suoi: «Abbiate, come la ho io, la stessa voglia di fare e di combattere forte e determinata di quando siamo scesi in campo. Andiamo avanti fino a dicembre, da gennaio, quando le elezioni anticipate non saranno più a rischio, faremo le cose che vogliamo e ci presenteremo al Paese con straordinarie riforme».
Intanto però il decreto sviluppo è una scatola talmente vuota che non sarà discusso nel consiglio dei ministri, anzi non ci sarà proprio il consiglio dei ministri previsto per oggi. Il braccio di ferro con Tremonti che non vuole aprire i cordoni della borsa è in fase di stallo, tanto che una quindicina di nomi di rilievo del partito ha scritto un appello «anti-declinista» al grido di «O si rischia o si muore». Però la riforma dell'articolo 41 della Costituzione, quello sulla libertà di impresa, che dovrebbe servire al rilancio dell'economia, è stato rinviato a chissà quando perché la maggioranza non si mette d'accordo. Berlusconi si dice disposto a modificare l'attuale legge elettorale con l'introduzione delle preferenze per evitare il referendum e cerca l'Udc, nonostante «le pessime cose che Cesa e Casini dicono di me».
Contemporaneamente si gode la vittoria in Molise, inneggiando a Grillo: «Lunga vita politica a Beppe Grillo. Il 95% dei suoi elettori sono voti sottratti alla sinistra». E dà qualche consiglio ai suoi che vanno in tv: «Non date del tu agli avversari. Non guardateli e fate capire il vostro dissenso con movimenti della testa e del corpo». Si riferiva alla Ravetto che in tv gli era sembrata poco grintosa contro la pd Serracchiani.
Intanto incassa la visita a Palazzo Grazioli di Pannella e di tre radicali in rotta con il centrosinistra. Berlusconi si presenta come un martire invincibile: «Non mi hanno abbattuto con le inchieste giudiziarie, non mi abbatteranno adesso. Mi hanno colpito giudiziariamente, fisicamente, patrimonialmente. Ho dovuto consegnare i miei soldi alla tessera numero 1 del Pd», si lamenta il premier in riferimento al risarcimento al gruppo di De Benedetti per il lodo Mondadori. In conclusione, «mi hanno accusato di tutto tranne che di essere gay», come se essere gay per Berlusconi fosse un reato. Quanto ai festini nelle ville, la difesa è la solita: «Mi accusano per normalissime cene e per quei quattro salti che seguivano a cui io non ho nemmeno partecipato. In mia presenza e nelle mie case non è mai accaduto niente che non fosse corretto, niente che fosse licenzioso». Infine, in trance narcisistica, racconta: «In Russia ho preso più applausi di Putin. Lui una standing ovation di cinque minuti. Io di sei».
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