Barocco liberale

Dalla Rassegna stampa

Che il barocco, anzi il barocco romano, non fosse espressione di una retorica vuota di senso e soprattutto di etica - così come avevano insegnato Francesco De Sanctis e Croce, e io avevo diligentemente assorbito - era da tempo noto. Nella mia memoria di non specialista, almeno dal saggio di Paolo Portoghesi del 1962, che rivoluzionò la lettura di quello stile avanzando nuovi moduli e canoni interpretativi, come il concetto di "libertà espressiva". Ma non potevo immaginare che la Roma barocca potesse essere il luogo dove è nata la modernità, e forse anche (ahi ahi) se non la laicità almeno il relativismo. Pensieri così balzani mi sono venuti in mente visitando la bellissima mostra su "Roma al tempo di Caravaggio" allestita a Palazzo Venezia. Le circa 140 opere esposte coprono un periodo di una quarantina di anni, attraversati da Pontefici di razza, Clemente VIII Aldobrandini, Paolo V Borghese, Gregorio XIV Boncompagni, Urbano VIII Barberini. Con l'Anno Santo del 1600 "il papato cattolico celebrava la riconquista del suo predominio dopo la grande paura luterana", spiega il catalogo Skira. Roma "diventava la capitale culturale d'Europa, popolandosi di migliaia di artisti provenienti da tutta Italia ma anche dalle grandi nazioni del Vecchio continente, Spagna, Francia, Germania, le Fiandre, i Paesi Bassi". Conseguenza?

Tutto un mescolarsi, confrontarsi, sovrapporsi di stili, linguaggi, esperienze, manco fossimo nella Parigi postimpressionista ed avanguardista.

Forse più ancora che nel suo pieno Rinascimento, la città era adesso una "fucina irripetibile" nella quale "prese il via la più straordinaria rinascita artistica della Città Eterna, i cui esiti saranno percepiti in tutta Europa fino alla fine del XVII secolo". Ma non era Roma la città dove nel settembre 1600 era messo a rogo Giordano Bruno e dove nel 1633 Galileo Galilei veniva condannato per le sue eretiche teorie astronomiche? Insomma, sarà pure vero che quella Roma segnata dal potere temporale tridentino era una città "reazionaria", ma vogliamo ammettere che la sua vicenda pone grossi problemi di indole culturale? Temo, ahimè, che non vi sia alcun laicista disposto ad accettare l'idea.

C'è, nella mostra di Palazzo Venezia, un quadro, "Susanna e i vecchioni" (1610) , opera prima di Artemisia Gentileschi che rappresenta il noto episodio biblico immerso in una inaspettata e cruda sensualità, tanto da poter essere considerato quasi un evento nella storia dell'arte e del nudo. E l'"Amore dormiente" di Battistello Caracciolo (1617-1618) è di un erotismo omosessuale non meno esplicito dei nudi giovanili dello stesso Caravaggio. Siamo lontani dalla rappresentazione dell'Amor sacro e Amor profano che in Tiziano viveva in un'aura di idealizzazione purificatrice, anche del nudo femminile. E poi, l'apparizione della natura morta - qui a Palazzo Venezia il libro legato in pergamena nella tela del sant'Agostino attribuito al Caravaggio (prima del 1600) o il grande violoncello e il liuto della Santa Cecilia di Carlo Saraceni (1610 ca.) - un tema che stravolge la scala dei valori, facendo emergere in primo piano l'oggetto, la "cosa", a tutto scapito della centralità dell'uomo rinascimentale.

Esagero un po', ma credo di avere almeno un pizzico di ragione: in tal caso ancora una volta il barocco romano è anticipatore. Nell'epoca della fine di ogni certezza, dispersasi negli "infiniti mondi" bruniani e galileiani, l'uomo non ricostruisce più lo spazio secondo le regole intellettuali e geometriche della prospettiva rinascimentale, ma con il trompe-l'oeil ingannatore, al servizio della vista, anzi dei sensi. E il rito, la cerimonia, la pompa, sostituisce la verità, restituendocene solo l'illusoria, teatrale metafora. Ma questa gigantesca eversione avveniva a Roma, nella città dove aveva sede il papato, incrollabile cattedra della fede unica.

Poco dopo venne Hobbes

Tutto bene (o quasi) mi si potrà rispondere, e tuttavia questo riconoscimento al senso del barocco non può esimerci dal ricordare che la Roma controriformista fu spietata con gli eretici e politicamente oppressiva. Ne convengo, tenendo però presente che quella Roma precedeva di poco il "Leviatano" di Hobbes, il testo fondamentale dell'assolutismo come struttura stessa del governo, come epifania del potere sacralizzato. Hobbes salvaguardava un nocciolo forte di diritti civili, e da lì parte la moderna filosofia liberale. Ma se rivendichiamo - e, per quel che vale, rivendico - all'arte una sua forza espressiva e risolutiva anche in campo etico, non vi è dubbio che nel barocco romano sono attivi - e contraddittori valori di libertà e dunque di laicità, fondamentali nella formazione dello spirito moderno. Dimenticavo: non sarà qui che dovremo cercare gli incunaboli del relativismo? Alla fine della visita a Palazzo Venezia, se volete recuperare un po' di senso religioso e cristiano, andate ad ammirare l'opera di un artista (almeno a me) sconosciuto, Andrea Lilio, una "Crocifissione" (1609-1610) con il corpo del Cristo che emerge, duro e potente, da un fondo scuro. Qui il ritualismo controriformista non ha nulla da invidiare al puritanesimo luterano o calvinista.

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