Avversari

Un mio amico, da sempre impegnato nel promuovere la teoria e la prassi radicale, mi fa un appunto a proposito delle mie colonnine, che dice di leggere con profitto. È un appunto che potrebbe sembrare di carattere filologico o semantico, e invece investe un problema di ecclesiologia da leggere, a mio avviso, in chiave storica.
L'amico dunque sostiene che, mentre il termine "laico" non esprime necessariamente una posizione di immediata pregnanza politica, il termine "laicismo" denota il modo fondamentalmente politico con il quale il laico affronta di volta in volta i temi della laicità, impegnandosi in una lotta diretta e mirata contro il suo avversario, individuato nelle forme che esso via via assume nel tempo. Da sempre, il mio amico presta attenzione ai temi della religiosità, con idee precise e tenaci. Egli insiste sul fatto che la istituzione chiesa, o meglio il Vaticano, ha tradito o mistificato i valori della fede, puntando piuttosto sul potenziamento della sua struttura mondano-temporalistica. Questa struttura non può non essere ostile ad ogni forma di intimità religiosa e di libertà di coscienza, finendo per impegolarsi in ogni forma di corruzione, in primo luogo la simonia, spregevole mercimonio di valori sacri e spirituali. Da sempre egli è grande ammiratore di Ernesto Rossi, l'uomo politico e giornalista che fece dell'anticlericalismo uno dei suoi preferiti terreni di polemica, come anche di Romolo Murri, il fondatore della prima Democrazia cristiana, Da giovane, professò una attenta simpatia alle tematiche proprie di Esprit, la rivista di Emmanuel Mounier, per il quale "per essere credenti bisogna essere anticlericali". Citando questi testi, il mio amico sostiene che la vera religiosità è fede in altro che non sia, appunto, la forma temporale di una chiesa fatalmente, ma anche colpevolmente, impregnata di potere, di giuridicismo, di casuistica, di una sostanziale ipocrisia attenta alla doppia verità più che alla verità pura e semplice insegnata dal Cristo.
L'imperativo di Voltaire: "Écrasez l'infame"
Io ho posto sempre attenzione a definire il più esattamente possibile i due termini (e ne ho già anche scritto, il meglio che ho potuto), con convinzione assegnando al primo ("laico", "laicità") una sorta di primato ideale, e non solo in quell'ambito culturale al, quale il mio amico lo confina, Ritengo invece che il termine "laicismo" sia ineluttabilmente legato all'epoca storica che lo vide nascere, e che può essere indicata come il momento di massima e vittoriosa espansione del secolare processo di formazione dello stato nazionale di stampo europeo, e segnatamente francese.
Vedo insomma il laicismo come la controfaccia dell'anticlericalismo ottocentesco. Per me, dunque, la laicità è un momento spirituale e intellettuale di assai maggior portata che non il laicismo.
Questo, in definitiva, ebbe come suo massimo e anzi esclusivo obiettivo l'abbattimento sia della religiosità in sé che in particolare della chiesa cattolica.
Seguiva e voleva adempiere, all'imperativo di Voltaire: "Ecrasez l'infame", cioè la chiesa romana. È difficile liberare il termine dall'accezione che esso ha assunto. Ora, è vero che il mio amico avverte che ogni epoca e ogni situazione ha un suo laicismo, che il laicismo insomma si evolve o si matura ed esprime rinnovandosi continuamente, ma questa tesi non mi convince. Per un motivo, soprattutto. Il laicista punta comunque a combattere, se non ad "abbattere" la chiesa in quanto tale. È in questo ancora coerente con le ragioni della sua nascita, motivate dalla necessità di compattare lo stato-nazione nascente, così che nessun fenomeno sociale, culturale o religioso potesse minarne le basi. La Francia della seconda metà del secolo (ma anche il Bismarck della "Kulturkampf") fu estremamente coerente nel conseguire l'obiettivo: non a caso, accanto all'anticlericalismo laicista promosse una lotta spietata contro i particolarismi localistici, in primo luogo i dialetti. Ovviamente, io non pongo in discussione quel fenomeno storico, probabilmente obbligato anche se del tutto estraneo e inconcepibile, in tali forme, nelle aree anglosassoni. L'Italia è nata in quel clima, e l'anticlericalismo anticattolico fu una necessità storica. Ma oggi io mi sento piuttosto interessato alle tematiche, alle soluzioni e alle prospettive di tipo federalista. Ritengo che oggi ci sia una profonda necessità di individuare e mettere in atto le forme possibili e politicamente perseguibili di una statualità, appunto, federalistica, sovra o infranazionale, che non si pone come traguardo l'abbattimento della o delle chiese, ma la creazione, l'invenzione di una idea di stato laico e plurimo, adeguato alle condizioni globali del momento in cui viviamo. La chiesa cattolica non è più l'avversario, ma uno degli avversari, non particolarmente da privilegiare o da combattere. Per questo, penso che il termine "laicismo" sia obsoleto. Ovviamente, mi sento sempre impegnatissimo nella lotta contro il Concordato e il temporalismo nelle sue forme, per la richiesta di trasparenza contro le degenerazioni affaristiche di questa come di ogni altra chiesa. E dunque, coerentemente mi definisco e sento (politicamente) "laico".
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