Per le associazioni della base è tempo di tornare protagoniste

Vedere il proprio Paese con le spalle al muro è tristissimo. È naturale che ci si chieda come poter fare per uscire da una condizione tanto negativa e pericolosa.
Io inquadro in questo contesto la discussione che si è aperta e che si sta allargando in relazione alla formazione di un movimento politico di cattolici.
Tutto ciò non è frutto né di nostalgia, né della volontà di riprodurre esperienze già fatte. Se è vero infatti che la storia non fa mai salti in avanti, è ancora più vero che non è sensato pretendere che faccia salti indietro.
Nel Novecento il movimento cattolico italiano ha realizzato per due volte l'esperienza di organizzarsi anche in un partito politico. E accaduto, come è noto, con il Partito popolare di Luigi Sturzo, che nacque per concorrere a dare una base popolare al debole Stato liberale e naufragò contro il fascismo. Si è ripetuto, tra le macerie materiali e civili di una guerra perduta, con la Democrazia cristiana guidata da Alcide De Gasperi, la cui esperienza è stata storicamente vittoriosa.
È noto che la Democrazia cristiana non è stata la semplice continuazione del Partito Popolare dopo la «parentesi» fascista, per usare una discutibile definizione crociana. Il quadro internazionale e le condizioni strutturali interne erano molto diverse, sostanzialmente incomparabili. E vi erano anche differenze nei contenuti. Basti pensare alle robuste polemiche di Sturzo contro la linea programmatica della Dc, in particolare sulle questioni dell'economia-e del ruolo dello Stato, negli anni successivi al suo ritorno dall'esilio americano.
Il punto centrale delle differenze tra le due esperienze fu però un altro: dipese, più che dalle singole volontà, dalle condizioni politiche oggettive e riguardò l'appello all'unità politica del mondo cattolico. Nella Democrazia cristiana si tentò con successo, specie nei passaggi più cruciali della difficile vita italiana, un'esperienza di unità politica dei cattolici. Questo percorso non fu costruito teoricamente, ma venne imposto dalla necessità delle cose. E, per il bene di tutti, fortunatamente funzionò. Basti qui accennare che però non si tratta di un elemento indispensabile per dar vita ad un partito e il precedente del Partito Popolare lo dimostra.
La situazione di oggi presenta alcune condizioni che, duole dirlo, hanno a che fare con la straordinarietà. Mi pare innegabile che la fase iniziata con il '94 sia politicamente conclusa. Questo vuol dire che è molto difficile assegnarle un possibile futuro, ma con altrettanta certezza si può ritenere che la sua pratica archiviazione sia tutt'altro che scontata; sono anzi prevedibili tutte le ansie e tutti i dolori delle agonie non accettate e quindi molto conflittuali.
Il tutto avviene durante il pieno svolgimento di una crisi finanziaria internazionale che ha ora come baricentro l'eurozona e come obiettivo primario il debito italiano. La conclusione della crisi non è dietro l'angolo, non essendo stata sostanzialmente rimossa nessuna delle cause che l'hanno procurata.
L'Europa e l'Italia dispongono di molti strumenti per difendersi ed evitare il peggio. Alla base di tutto ciò che direttamente ci riguarda, però, c'è una condizione che, passando i giorni, apparirà sempre più essenziale: la ricostruzione di un giudizio di affidabilità del nostro Paese che sia condiviso dall'Europa e, in particolare, avvertito come reale e stabile dalla Germania. Pensare che gli altri continuino a pagare per noi non è un errore, è una sciocchezza. I problemi veri non sono di strumentazione tecnica. La natura e la dimensione delle decisioni necessarie per tornare ad essere uno 'dei motori dell'Europa, non uno dei suoi freni, richiedono che la politica italiana non sia quella di oggi.
Non mancano certamente le idee e i progetti riguardanti le cose utili da fare. La debolezza sta tutta nei soggetti politici, nella loro capacità di decidere e di meritare fiducia. Scriveva sul Corriere nei giorni scorsi Dario Antiseri: «Gira l'idea che non ci siano le condizioni per la formazione di un partito di cattolici come se le "condizioni" non fossero realtà cui opporsi o realtà da creare». Questo è il punto. Si può essere attori del proprio tempo o vittime del medesimo. Bisogna vedere se si è capaci di scegliere.
Il ventennio che ci sta alle spalle ci lascia in eredità un deserto civile. La prolungata e reiterata demonizzazione della politica e dei partiti si è presa la sua vendetta. Eppure il nostro è un Paese forte, pieno di risorse e di talenti che devono trovare chi sappia sostituire la speranza alla frustrazione e, in tante circostanze, all'umiliazione. Bisogna ripartire dalle realtà sociali organizzate, in particolare da quelle animate da un valore ideale e morale. Nell'Italia di oggi la miriade di realtà associative di ispirazione cristiana presenti ovunque nel Paese e attive nei settori più diversi, della cultura, del volontariato, del sindacato, dell'attività di impresa, rappresenta un bene prezioso per tutti.
La questione è molto chiara e va posta senza ambiguità: l'associazionismo cattolico deve aggregarsi per darsi un progetto politico che affronti l'emergenza civile del Paese. Queste organizzazioni hanno milioni di iscritti e hanno formato classi dirigenti presenti e rispettate nelle realtà locali. È una ricchezza importante per il Paese che non chiede di essere schierata contro nessuno, ma può essere richiamata all'alto compito civile di operare per costituire il nucleo di una più lunga alleanza, aperta a tutte le energie disponibili a porsi al servizio dello Stato democratico e laico della Costituzione. E la risposta necessaria che si deve dare per contrastare la condanna al declino, per recuperare il nostro giusto posto in Europa, per riconquistare le condizioni di unità sociale e morale della nazione.
Avendo da lungo tempo una discreta conoscenza di questi mondi, sono convinto che in questo orribile tempo siano mature le condizioni per avviare con sollecitudine un intenso e coraggioso lavoro destinato a dare corpo alle necessarie iniziative, con l'avvertenza che i tempi lunghi non ci saranno concessi.
Sarà questo movimento collocabile a destra o a sinistra? Domanda molto legittima per la scienza politica, di scarso significato invece per le tecniche di sopravvivenza dalle quali siamo oggi sollecitati. Valga per tutti l'invito di Sturzo: «Se è naturale pensare alla società in termini di ti- more - che sarà di noi, famiglia o classe? Di noi, città o nazione? Di noi, società o Chiesa? - è pur utile e doveroso dire: che debbo io fare oggi per la famiglia, per la classe, per la città, per il Paese, per la cultura, per la scuola, per la Chiesa? Qual è il mio dovere? Che cosa mi dice il cuore? L'oggi è vita, è lavoro, è combattimento, sacrificio: coraggio, piccolo gregge...».
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