Armi, un morto al minuto. L'Onu: nuove regole subito

La vendita mondiale delle banane è regolata in modo più severo del commercio di pistole, mitra e granate, faceva notare ieri a New York Suzanne Nossel, direttrice di Amnesty International negli Usa. Ma mangiando banane non si muore, mentre ogni minuto nel mondo una persona è uccisa da un colpo d’arma da fuoco, stando a un rapporto sul commercio di armi presentato dalla stessa Amnesty. Questo semplice assioma, se accettato come punto di partenza per la stesura di un trattato per il controllo del mercato delle armi, dovrebbe a prima vista bastare a spingere i 193 Paesi delle Nazioni Unite a trovare un’intesa su chi può comprare strumenti di morte, chi li può vendere, e come. Ma l’esportazione di armi, con un giro d’affari di 60 miliardi di dollari l’anno, è molto più lucrativa di quella delle banane. E i principali attori degli scambi sono gli Stati Uniti, la Cina, la Russia e, in secondo luogo, la Gran Bretagna e la Francia che hanno in comune anche il privilegio di sedere come membri permanenti al Consiglio di sicurezza dell’Onu. Infatti da un anno la comunità internazionale si riunisce in comitati ad hoc senza mettersi d’accordo sui criteri per regolare il commercio di armi. Possono essere vendute a governi che hanno precedenti di violazioni dei diritti umani? Stati Uniti e Russia dicono di sì, opponendosi a una clausola che imponga la presentazione di una «fedina» dei crimini contro l’umanità. Le società produttrici sono responsabili se le loro armi finiscono in mano a terroristi? E le nuove norme varranno solo per bombe, missili e fucili da guerra o anche per le rivoltelle, che negli Usa si possono acquistare al più vicino centro commerciale? La Cina vuole escludere le pistole, di cui è il più grande produttore al mondo, mentre gli Usa hanno una posizione particolare: sì al controllo delle armi, ma via libera al mercato delle pallottole. I delegati riuniti al Palazzo di vetro hanno fino al 27 luglio per smussare le differenze, mentre all’esterno la pressione perché trovino punti in comune aumenta. Alle organizzazioni pacifiste si sono uniti infatti giganti come Google, che ha bandito dal suo motore di ricerca tutti i siti che si occupano di armi e ha vietato la vendita di pistole, fucili da caccia e coltelli da Google Shopping. Ma molto dipenderà dalla flessibilità della delegazione americana. Data l’impopolarità di ogni limite al commercio delle armi nel Paese, l’Amministrazione Obama si è già esposta impegnandosi nel negoziato, che Bush aveva osteggiato. Ma è chiaro che Washington è lontana dall’abbracciare la regolamentazione estesa e omnicomprensiva proposta dagli europei e caldeggiata dalle associazione umanitarie, tanto che ha già ottenuto che il documento finale, per essere valido, debba essere approvato all’unanimità. Una riserva di diritto di veto che rende i lavori delle prossime tre settimane minati in partenza. Eppure il nemico comune del terrorismo e l’impossibilità di contenere esplosioni di violenza come la mattanza in Siria rendono gli osservatori fiduciosi che qualcosa dal Palazzo di vetro emergerà.
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