America e Italia: modelli lontani

Dalla Rassegna stampa

Le cure mediche sono un diritto o una responsabilità? Quando glielo chiesero un anno fa il candidato Obama rispose con riluttanza, dopo una pausa: «Più un diritto». Riluttanza giustificata dalla consapevolezza che, nell'America dello «Stato minimo» — un Paese restio a limitare le libertà civili ed economiche — la solidarietà verso i deboli trova un limite nell'ostilità all'assistenzialism. Figli dei pionieri, influenzati dalla cul­tura protestante, gli americani restano convinti, in maggioranza, che ognuno è responsabile del proprio destino; che in nessun settore, nemmeno nella sanità, possono esserci «pasti gratis».

Si spiegano così le profonde differen­ze tra gli Usa che provano ad applicare le severe regole del mercato anche in un settore economico «anomalo» come quello della salute e un continente euro­peo che, pur con modelli diversi (sistemi pubblici, sistemi misti, casi in cui è il go­verno garantisce le cure ma lo fa attraver­so assicurazioni private), tende ad offri­re a tutti i cittadini un certo livello di co­pertura statale. A un italiano — abituato a combattere con liste d’attesa e ospedali spesso fati­scenti ma che dà per scontato il diritto di ogni cittadino alle cure mediche e agli in­terventi chirurgici essenziali — l’Ameri­ca della sanità privata appare sicuramen­te uno strano pianeta. Un mondo nel qua­le convivono tre classi di cittadini: quelli con un’assicurazione pagata dal datore di lavoro (oltre 160 milioni di america­ni) o acquistata individualmente (circa 23 milioni di polizze); i circa 75 milioni di americani con l’«ombrello» pubblico di uno Stato che paga le loro spese medi­che attraverso le agenzie federali per i po­veri (Medicaid), gli anziani (Medicare) e l’amministrazione dei veterani; i 47 mi­lioni di cittadini, circa il 16% della popo­lazione, totalmente privi di copertura.

Tre classi, ma il mosaico è assai più complesso: i 47 milioni senza copertura non sono tutti «diseredati». Ci sono an­che molti giovani benestanti che scom­mettono sulla loro buona salute e rinun­ciano a sottoscrivere una polizza. Grandi differenze anche sotto il tetto delle assicurazioni private: le aziende più ricche e quelle sindacalizzate spesso sottoscrivono polizze costose che copro­no l’assicurato anche per le cure dentisti­che o interventi solitamente esclusi dal­l’assistenza pubblica europea (come la chirurgia plastica). Ma c’è anche chi si deve accontentare di una polizza poco costosa che impone franchigie e ticket elevati, copre le spese mediche solo en­tro certi limiti e, magari, non consente a chi ha il cancro, di ottenere il rimborso della chemioterapia. Molte assicurazio­ni, poi, cercano, con vari cavilli, di libe­rarsi dei pazienti con patologie croni­che: sanno che il loro comportamento sociale è riprovevole, ma sono pur sem­pre società quotate in Borsa che devono massimizzare i profitti. E i malati croni­ci costano molto.

La riforma approvata l’altra notte dal­la Camera (che sicuramente sarà ridi­mensionata dal Senato) modifica in mo­do significativo questa situazione, ma, dal punto di vista di un europeo, non giu­stifica l’enfasi retorica di Obama («oggi si fa la storia») né il linguaggio estremo usato dal capo dei repubblicani alla Ca­mera, John Boehner («questa riforma è la più grande minaccia alle libertà degli americani che ho visto nei miei 19 anni di lavoro a Washington»). Il sistema che esce dalla riforma appe­na approvata è sempre largamente basa­to sulle assicurazioni private. Tre le prin­cipali novità: a) non potrà più essere ri­fiutata una polizza a persone in precarie condizioni di salute; b) l’«opzione pubbli­ca », cioè l’introduzione di una formula assicurativa offerta dallo Stato da mette­re in concorrenza con quelle private con l’obiettivo di «calmierare» il prezzo delle polizze; c) obbligo, per cittadini e impre­se, di sottoscrivere una polizza sanitaria, con agevolazioni e sussidi per i cittadini meno abbienti e un limite agli impegni richiesti alle aziende più fragili. L’innova­zione più significativa e i maggiori costi aggiuntivi (la riforma della Camera coste­rà 1042 miliardi di dollari in dieci anni) vengono proprio da questo obbligo. Che, però, non è affatto perentorio, visto che può essere aggirato pagando una multa.

Insomma, la differenza di fondo, «ge­netica », tra Usa ed Europa non viene ri­mossa nemmeno dalla riforma Obama che rinuncia a dar vita ad un sistema sani­tario davvero «universale»: capace, cioè, di coprire tutti i cittadini. La sua versione più «assistenziale», quella della Camera, secondo i democratici estenderà le cure a 38-39 dei 47 milioni di americani oggi senza copertura. Ma il testo del Senato prevede un intervento molto più limitato e comunque gli esperti del Congresso sti­mano che, anche se diventasse legge la riforma approvata ieri, la riduzione dei senza-mutua sarebbe molto graduale e di entità inferiore: tra dieci anni i cittadi­ni non coperti sarebbero ancora quasi 30 milioni. Senza contare che c’è chi ritiene che con questa riforma i senza-mutua po­trebbero addirittura aumentare. La pensa così Martin Feldstein — economista con­servatore la cui autorità è, però, ricono­sciuta anche dai democratici e dallo stes­so Obama — secondo il quale chi è in buona salute tenderà a pagare la multa e a risparmiare il costo della polizza visto che, se si ammalerà seriamente, le assicu­razioni saranno comunque obbligate ad accoglierlo tra i loro assistiti.

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