Alpinista e partigiano, il gentleman Gasparotto

Alpinista, sciatore, esploratore, pilota d'aereo, ma anche coraggiosissimo comandante della Resistenza: l'avvocato milanese Leopoldo Gasparotto è stato uno degli ultimi esponenti dello sportman di tradizione anglosassone, appartenete alla borghesia liberale travolta dal fascismo. Della sua figura, che spicca nella Milano alpinistica tra le due guerre, si torna a parlare grazie alla biografia curata da Ruggero Meles e appena pubblicata da Hoepli: «Leopoldo Gasparotto. Alpinista e partigiano». Chi lo conobbe ricorda quell'insieme di coraggio e di autoironia, di tenacia e di capacità di non prendersi troppo sul serio che, dalle campagne sulle cime delle Alpi o del Caucaso, del Pamir o della Groenlandia, Poldo questo il nome con cui tutti lo conoscevano - seppe trasferire nella lotta clandestina nelle file del Partito d'Azione.
Quando nel 1929 partecipò a una delle prime spedizioni nel Caucaso, Gasparotto era già uno dei migliori scalatori della sua generazione. La prima ascensione al contesissimo Ghiulcì, la «magica visione» che aveva incantato fin dall'Ottocento il fotografo Vittorio Sella, e la prima discesa in sci dai 5.629 m dell'Elbruz, confermarono una volta di più la sua tempra. Insieme a Vitale Bramani, l'inventore della suola Vibram, a Ettore Castiglioni, a Aldo Bonacossa e a Ugo di Vallepiana, Gasparotto testimonia la vitalità ancora tra le due guerre del vecchio alpinismo ottocentesco, incalzato dalle nuove forme dell'associazionismo operaio che avrebbe espresso i Cassin e i Bonatti. Basti dire che l'anno precedente la spedizione nel Caucaso Gasparotto e i suoi compagni avevano sfiorato la grande impresa, compiendo un serio tentativo alla parete nord delle Grandes Jorasses, allora al centro dell'attenzione del mondo alpinistico. Vi avevano incontrato non a caso la celebre guida di Chamonix, Armand Charlet. Altrettanto pionieristica la spedizione sulle coste orientali della Groenlandia, una regione che ancora oggi è raramente visitata dagli scalatori. Come stupirsi del viaggio di nozze con la coraggiosa moglie Nuccia, poi partigiana accanto a Pertini, insieme alla quale compì la traversata a cavallo della Lapponia?
In casa Poldo aveva respirato le tradizioni liberali grazie al padre, Luigi Gasparotto, deputato nelle file del partito radicale e ministro nei giorni drammatici della marcia su Roma. Quasi naturale dunque l'adesione del giovane alpinista alla Resistenza nei reparti di Giustizia e libertà. Nel 1943 con il nome di battaglia di Rey, Poldo assume il comando della struttura militare del Partito d'Azione lombardo, in stretto contatto con Ferruccio Parri. Dopo molte azioni, in cui ha modo di mettere a frutto le sue conoscenze delle montagne intorno a Milano, è catturato e internato nel carcere di san Vittore, dove viene ripetutamente torturato. «È l'uomo più popolare qui - scrive un detenuto -. Tutti lo chiamano non appena lo intravedono uscir di cella». Trasferito al campo di prigionia di Fossoli, il 22 giugno 1944 i nazisti lo caricano su un auto, che poco dopo si ferma in aperta campagna. Una raffica di mitra alle spalle pone fine alla vita di Poldo. Pochi giorni più tardi altri sessantasette prigionieri di Fossoli sarebbero stati assassinati con un colpo alla nuca.
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