Al congresso Ppe di Bucarest va in scena la paralisi dell'area moderata

Dalla Rassegna stampa

È una sfortuna che Silvio Berlusconi abbia l'influenza e quindi non possa prendere parte al congresso dei Popolari Europei a Bucarest. Avrebbe potuto, fra l'altro, incontrare la cancelliera Angela Merkel con la quale ancora di recente ha fatto sapere di aver avuto e di mantenere ottimi rapporti personali (con il sottinteso che certe interpretazioni malevole erano solo il frutto di una cattiva informazione).

Eppure la realtà dice che proprio il rapporto tormentato e tutt'altro che positivo fra l'ex premier e la cancelliera tedesca descrive in modo chiaro e anche simbolico il dramma politico in cui si agita il centrodestra italiano.
Angela Merkel è di fatto il capo dei Popolari Europei. Berlusconi è stato per anni il leader del Pdl, forza di maggioranza relativa in Italia, aderente al Ppe: anzi, uno dei partiti più consistenti della famiglia dei Popolari, almeno negli anni d'oro. Ebbene, è stata la Merkel a esercitare una pressione forse decisiva per sostituire il governo Berlusconi con l'esecutivo guidato da Monti. Ecco un caso in cui la comune adesione al Ppe non si traduce in un'armonia d'intenti.
Se poi si guarda agli avvenimenti dell'ultimo anno, dalla caduta di Berlusconi in poi, alcuni indizi sono significativi. Il Pdl è in via di dissoluzione, nonostante gli sforzi del suo segretario Alfano. Berlusconi si trova in una sorta di limbo, attacco influenzale a parte: forse si è ritirato o è tentato di farlo; al tempo stesso però aspetta il risultato del voto in Sicilia e intanto osserva il collasso della giunta Formigoni in Lombardia, senza trascurare l'ipotesi di agganciare la Lega di Maroni in una nuova alleanza. E come è noto non ha accantonato l'idea di promuovere una lista personale, magari senza guidarla in modo diretto.

Stando così le cose, quale valore hanno le richieste rivolte a Casini, a Bucarest, per stringere al più presto una nuova alleanza? Alfano e Frattini sono molto insistenti e dal loro punto di vista si capisce: sotto il profilo tattico è meglio giocare questa modesta carta piuttosto che condannarsi all'immobilismo più assoluto. Ma nella sostanza la proposta non significa molto e infatti non viene presa in considerazione dall'Udc. Il problema è che il Pdl non è credibile, dal momento in cui la sua forza politica risulta frammentata. Ma soprattutto è evidente che il suo leader storico sta mettendo in atto una serie di giochi tattici in cui tutto o quasi è intercambiabile.
Ad esempio. La linea pro-Monti, favorevole a proseguire con l'attuale presidente del Consiglio anche dopo le elezioni, è ben rappresentata sia da Alfano sia da Frattini. Ma Berlusconi, l'uomo che la Merkel (e non solo) ha considerato del tutto inaffidabile per svolgere un ruolo in Europa, più di una volta ha ammiccato alle posizioni euro-scettiche perché in cuor suo vorrebbe riuscire ad assorbire anche questa fetta di opinione pubblica.

Ne deriva che per mille ragioni a Bucarest risulta in modo palese la paralisi dell'area moderata italiana: quella che nel corso del dopoguerra è stata sempre maggioritaria sul terreno elettorale e che oggi sembra alla deriva. Al punto che una porzione consistente guarda con interesse all'esperimento di Matteo Renzi. Alfano e Frattini appartengono in forma ideale al «partito di Monti» (e a sua volta il premier parla sempre con rispetto del Ppe). Ma chi c'è dietro di loro? Solo una grande confusione.

 

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