Adozioni gay, la società più veloce del legislatore

Scomparsa dai radar della pubblica opinione la campagna pubblicitaria sulla "riforma della giustizia", vale la pena concentrare l’attenzione sui dati della realtà. In questa prospettiva merita una chiave di lettura diversa, rispetto a quelle sinora proposte, la decisione del Tribunale di Roma, che ha consentito l’adozione di una bambina da parte della compagna della madre biologica. La decisione, scritta nella prospettiva di adempiere all’obbligo del giudice tutelare di decidere nell’interesse del minore, esprime il concetto di fondo che è alla base della stessa con questa frase: «una volta valutato in concreto il superiore interesse del minore ad essere adottato e l’adeguatezza degli adottanti, una interpretazione che escludesse l’adozione per le coppie omosessuali solo in ragione della predetta omosessualità......sarebbe un’interpretazione non conforme al dettato costituzionale in quanto lesiva del principio di eguaglianza (art. 3 cost) e della tutela dei diritti fondamentali (art. 2 cost)».
L’istituto giuridico utilizzato dal Tribunale di Roma è stato quello della stepchild adoption, letteralmente adozione del figliastro, che consente l’adozione al compagno del genitore biologico. Va subito detto che sono legittime le perplessità in ordine alla correttezza tecnica del provvedimento, mentre non vi sono dubbi, almeno per chi scrive queste note, sulla giustezza sociale e morale. La questione, dal punto di vista tecnico nasce dalla circostanza che in tutta la legge sulle adozioni i riferimenti espliciti sono solo alla coppia eterosessuale e che è pacifico che, allo stato, una adozione ordinaria non sarebbe consentita ad una coppia omosessuale. Del resto, che la questione sia in questi termini è confermato dalla circostanza che tutti coloro che hanno applaudito alla decisione hanno anche sentito il bisogno di invocare un immediato intervento del legislatore. Se davvero le cose, sotto il profilo tecnico giuridico, fossero chiare non si spiegherebbe la sollecitazione di un intervento legislativo. C’è qualcosa, allora, che non torna. Ed il Tribunale di Roma se ne dà carico, quando afferma che il ricorso ad una interpretazione aperta della disciplina della stepchild adoption consente di far fronte ai «cambiamenti che la nostra società ci propone con una continuità ed una velocità cui il Legislatore fatica a tenere dietro». Ed è proprio qui che sta il punto.
Il tema della famiglia omosessuale è all’ordine del giorno da qualche decennio. Ci avvertono le associazioni che i bambini che vivono in una famiglia di questo tipo sono circa 100.000 ed il loro numero cresce di giorno in giorno. Non si è più in presenza, perciò, di casi individuali da esorcizzare con la categoria dell’egoismo degli adulti. Si tratta di un fenomeno sociale ampio, che finisce con l’essere legittimato dalla sua stessa ampiezza e che porta prove sempre più solide sulla ingiustizia e sulla infondatezza dei pregiudizi che lo segnano. Ed allora diventa inevitabile registrare che il legislatore si mostra, tanto per cambiare, inadeguato. Incapace di calarsi nella realtà sociale, che dovrebbe essere la cornice della sua opera. Chiuso in logiche interne di potere, che lo rendono sordo e cieco. E non è una questione di difficoltà di stare al passo con la rapidità dei cambiamenti: in questo caso il problema è sul tappeto da più di un decennio. Svuotata, per molti motivi, la carica propulsiva che negli anni ‘70 del secolo scorso hanno avuto i referendum, resta la magistratura come ultimo elemento di raccordo tra la società ed i suoi bisogni e l’ordinamento.
Diventa, così, inevitabile che la società finisca con il vedere, come Hegel aveva previsto, nel magistrato un organo di propria diretta espressione. Quest’ultimo ne riceve un potere enorme, che fa saltare tutti gli equilibri che, secondo i canoni condivisi, dovrebbero caratterizzare una democrazia. Se il legislatore, e quindi la classe politica, non si assume la responsabilità di scelte consapevoli e la capacità di guardare il futuro, ma si limita a tergiversare con una timida politica degli annunci, l’Italia continuerà ad essere una repubblica dei giudici.
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