I 27 vicini all'intesa: «La Serbia sarà un candidato Ue»

Dalla Rassegna stampa

«È fatta, c'era accordo oggi (ieri per chi legge, ndr)» tra i ministri degli Esteri dei 27 sul concedere alla Serbia lo status di paese candidato. Lo ha affermato il ministro degli Esteri francese Alain Juppé a margine del Consiglio Ue affari esteri, sottolineando che «non ci sono più obiezioni» a questo passo anche se c'è ancora una «lunga strada da compiere» prima che Belgrado entri effettivamente nell'Unione Europea come Paese membro a tutti gli effetti.

Nonostante l'annuncio di Juppé, a sorpresa la Lituania e la Romania hanno poi frenato sul cammino di Belgrado. Vilnius è in collera con la Serbia che ha proposto il suo ministro degli Esteri Vuk Jeremic a candidato per la presidenza generale dell'Onu, alla quale la Lituania aspira fortemente. Inoltre, non avrebbe del tutto superato la sfiducia «storica» verso la Serbia, considerata troppo legata alla Russia. La Romania, invece, chiede più garanzie per il rispetto della minoranza romena in Serbia. Le due questioni, pero, non sono ritenute insormontabili dagli analisti. Il presidente serbo Boris Tadic, da parte sua, crede che la Serbia «meriti questo status», anche se sa che «il lavoro non è finito».

A prendere la decisione formale sarà il vertice Ue dei capi di stato e di governo di giovedì e venerdì. Nei giorni scorsi, dopo Italia, Francia e Austria, altri quattro paesi dell'Ue - Bulgaria, Ungheria, Slovacchia e Repubblica ceca - avevano inviato una lettera alla responsabile della politica estera europea Catherine Ashton, chiedendo che alla Serbia venga concesso lo status di Paese candidato. Nella lettera i ministri degli Esteri dei quattro Paesi sottolineavano che Belgrado ha soddisfatto tutte le condizioni e gli obblighi internazionali per l'ottenimento della candidatura. Ieri la Ashton ha detto di sperare in un «passo in avanti» e ha reso omaggio al lavoro del governo Tadic, sottolineandone «il coraggio e l'impegno».

Un notevole passo avanti verso lo status di Paese candidato la Serbia lo ha fatto con l'accordo di venerdì scorso con Pristina sulle modalità di partecipazione del Kosovo ai forum regionali. Un accordo peraltro osteggiato dall'opposizione conservatrice e nazionalista serba, che ha giudicato la mossa una totale sconfitta della politica portata avanti dal 2008 dal governo e dal presidente della Serbia. «Con questo ultimo passo, gli Usa e la Ue hanno completato la secessione del Kosovo e la sua proclamazione di indipendenza», era stato il commento di Dragan Todorovic, vicepresidente del Partito radicale serbo, la formazione di cui è leader Vojislav Seselj, sotto processo per crimini di guerra al Tribunale penale dell'Aia.

A lungo la candidatura della Serbia all'ingresso nell'Ue è stata bloccata dalla latitanza dell'ex comandante militare dei serbo-bosniaci Ratko Mladic, responsabile dell'eccidio di Srebrenica, poi arrestato nel maggio del 2011.

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