Taranto: La città dell'acciaio

Taranto

 

Sto tornando da Taranto ed inizia a frullarmi in testa una frase di Marco Pannella riferita alle carceri “un consistente e allarmate nucleo di shoah”.
Ecco, dopo aver trascorso due giorni nella città dell’acciaio e dei due mari penso a quella frase e mi vengono in mente gli abitanti del quartiere Tamburi, le polveri rosse del cimitero, le parole del Presidente dell’Associazione “Malati infiammatori cronici e immunitari”, Saverio De Florio, il racconto appassionato e la sete di verità e giustizia dell’allevatore Vincenzo Fornaro, la rabbia e la determinazione di Daniela Spera e un suo sms nel quale mi dice: “oggi sono già tre e tra questi due bambini”. Daniela parla di tumori e la sua rabbia monta.
Taranto è la città dell’acciaio. A Taranto troviamo la più grande acciaieria d’Europa: l’Ilva. L’acciaieria dei fratelli Riva con i suoi 15 milioni di metri quadrati occupa una superficie pari a due volte e mezzo la città di Taranto. Insomma, una città nella città. Il famigerato camino E312 incombe sulla città come la spada incombeva sulla testa di Damocle. L’Ilva produce 10 milioni di tonnellate d’acciaio all’anno e all’Ilva è riconducibile una fetta importante del Pil della Puglia.
Il gigantesco polo siderurgico è ubicato a ridosso della città e il quartiere Tamburi, il più martoriato, è situato a poche decine di metri in linea d’aria dai parchi minerali e dalla zona industriale, dove oltre all’Ilva troviamo la Cementir, le raffinerie Eni, gli inceneritori.
L’oro nero estratto nella Val D’Agri, dopo essere stato trattato nel Centro oli di Viggiano, arriva alle raffinerie di Taranto dove l’Eni non ama i ficcanaso. Non li ama al punto che se dall’italico suolo ti azzardi a filmare l’ingresso della raffineria, ti vedi piombare addosso un esercito di incazzatissimi vigilanti.
Taranto è una città dove pur non essendo fumatore sei costretto a fumare 100 sigarette al giorno, ma il veleno in questo caso non arriva dalle bionde ma dall’aria che si respira.
In un progetto di risanamento del quartiere Tamburi, redatto nel 2009, l’ing. Tommaso Farenga afferma che “Taranto costituisce un caso nazionale eclatante per le emissioni di diossina”.
Quella di Taranto è una situazione fortemente degradata sotto il profilo ambientale, con tutto quello che comporta tale degrado in termini di ricaduta sulla salute umana.
Parlare di Taranto significa parlare di inquinamento dell’aria, del suolo e del mare. Parlare di Taranto significa parlare di veleni persistenti e molto resistenti alla decomposizione come i PCB, le diossine e i furani che si accumulano nel suolo e nei campi. Veleni che sono entrati da tempo nel ciclo alimentare.
Nel solo biennio 2007-2008, la sola Ilva, in base ai dati autocertificati dalla stessa azienda e comunicati al registro europeo PRTR, ha immesso nell’aria che si respira a Taranto 6892 tonnellate di PM10, 3043 tonnellate di Ipa, 26601 tonnellate di ossidi di zolfo. E poi Piombo, Cadmio, Arsenico, Ossidi d’azoto e un elenco interminabile di veleni. Ma non c’è solo quello che arriva in aria e poi viene respirato e si deposita nel suolo, ma anche i veleni che finiscono in mare.
La sigla Pm10, per chi non lo sapesse, sta ad identificare polveri, fumo e micro gocce in sospensione nell’atmosfera sotto forma di particelle microscopiche. Più le particelle sono piccole più riescono ad oltrepassare le difese dell’apparato respiratorio.
Non solo benzo(a)pirene dunque, ma un micidiale cocktail di veleni che dal polo industriale quotidianamente si riversa sulla città di Taranto e grazie all’azione dei venti arriva anche altrove.
La legge antidiossina varata dal governo Vendola è una bufala, un provvedimento propagandistico, tant’è che il monitoraggio non è un monitoraggio in continuo.
Quel che è certo è che una fetta consistente delle Diossine e dei PCB immessi in aria in Italia arrivano dal Polo industriale di Taranto.
Vincenzo Fornaro si definisce un ex-allevatore e sottolinea che la Regione Puglia, il Comune, e il Ministero dell’Ambiente, al momento, non si sono costituiti parte civile nel processo contro l’Ilva nato dalla vicenda delle pecore alla diossina. Francesco Fanelli, viveva nel quartiere Tamburi, ma per sua fortuna ha avuto la possibilità di scappare: sua figlia si è ammalata di leucemia mieloide. Nel cimitero di Taranto lapidi rosse ricordano la presenza dei parchi minerali. Tornando a casa e passando davanti alla raffineria Eni vengo salutato dal profumo del benzene. Quelli di “Taranto Libera” parlano di riconversione industriale e di ricatto occupazionale; io, intanto, mi chiedo dove sia il modello Puglia sbandierato dal Governatore Vendola e se la Regione deciderà mai di costituirsi parte civile nel processo nato dalla vicenda delle pecore alla diossina. Ancora una volta, per dirla con Marco Pannella, “La strage di legalità ha sempre per corollario, nella storia, la strage di popoli.”
dichiarazione di Maurizio Bolognetti, Direzione Nazionali Radicali Italiani
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"La città dell'acciaio"

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