Lettera aperta a Pierluigi Bersani, Nichi Vendola, Antonio Di Pietro e Beppe Grillo

Formigoni

E' più grave (ab)usare del poter di Presidente del Consiglio per annullare un fermo di polizia oppure realizzare la falsificazione massiccia delle elezioni nella più popolosa regione italiana? La domanda, di per sé, sembrerebbe insensata. Che bisogno c'è di paragonare fatti così diversi? Sono gravi entrambi! Invece, è utile, per avvicinarci alla vera domanda.

Giovedì 9 dicembre alle ore 11 il TAR della Lombardia deciderà se ammettere in giudizio una perizia calligrafica - pubblicata su www.radicali.it - che documenta la falsificazione di quasi 600 firme (su 3800) apposte sul listino regionale di Lega e Pdl a sostegno di Roberto Formigoni. Per impedire che si accerti la verità, il Presidente da 16 anni della Lombardia ha già, nell'ordine: usato dei servigi della cosiddetta "P3"; accusato i Radicali di aver manomesso i moduli; fatto finta di chiedere ai suoi partiti di accertare la verità; ora, infine, è a caccia di cavilli all'italiana per evitare che le firme false giungano sul tavolo del TAR (i suoi avvocati arrivano a sostenere che se i falsi fossero stati così palesi avremmo dovuto accorgercene subito). Se il Presidente della Lombardia centrasse l'obiettivo di nascondere i moduli, gli basterebbe poi usare la leggina "salvaliste" (votata a suo tempo anche dai parlamentari del PD) per farsi tener buono un risultato elettorale ottenuto con l'inganno e la falsificazione. A quel punto, rimarrebbe solo l'inchiesta, pur aperta dalla Procura di Milano per gli stessi fatti, per accertare le sole responsabilità penali. Potrebbero essere convocate e indagate le persone informate dei fatti, a partire da chi -Berlusconi, Bossi, Formigoni- modificò le liste a pochi giorni dal deposito per inserire Nicole Minetti (sì, proprio lei) quando ormai più di 2.000 firme erano già state raccolte. Oppure potrebbe finire come l'Oil for Food di Formigoni: qualche esecutore materiale condannato in primo grado, per poi cancellar tutto con una bella prescrizione.

In vista di giovedì, e oltre, la vera domanda è dunque questa: perché sulla vicenda non avete aperto bocca?
Vorremmo poter credere che si tratti di malinteso garantismo. Aspettate con fiducia l'esito della giustizia? No, sono sicuro che non avrete la spudoratezza di usare un argomento del genere. Non solo sul "caso Ruby Mubarak", ma su infinite altre vicende, sono suonate immediatamente le vostre invocazioni: dimissioni! dimissioni subito! Lo avete chiesto da tiggì e giornali, o anche dalla Rete (sì, caro Beppe, so che non gradisci essere accostato agli altri destinatari: sono dei "partiti" loro, come noi Radicali, e quindi vecchi! ma sai, non solo capita che dai vecchi si possa imparar qualcosa, ma persino che dai nuovi arrivino riflessi lenti e istinti vecchi). Eppure le firme sono lì, pubblicate tutte su Internet. Che sono false lo vede anche un bambino. Le avete viste?

Qualcosa da fare invece c'è, anche perché il "tanto peggio tanto meglio" non è mai stata la nostra politica, né ci aspettiamo rendite di posizione da una vicenda nascosta all'opinione pubblica. C'è da rompere quel silenzio di complicità, inaugurato nel salotto di Santoro con te, Pierluigi, presente in studio insieme al Presidente Roberto F., senza che neanche il Vauro osasse chiamarlo "Firmigoni" (giusto Corrado Guzzanti a "Vieni via con me" ha saputo scherzare sulla firma di Michael Jackson per Formigoni, ma quelli sono programmi che non durano).

Insomma c'è da riportare un minimo di democrazia, di conoscenza e di rispetto delle regole in questo Paese, e dareste un bel contributo se, in qualcuna delle tante occasioni che avete di rivolgervi a milioni e milioni di persone, rompeste il silenzio finora tenuto. L'udienza del 9 dicembre, poi, è pubblica.

Marco Cappato
Lettera aperta pubblicata su Il Fatto quotidiano l'8 Dicembre 2010

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