Anche un solo radicale fa la differenza

ospedale Divina Provvidenza Bisceglie

Si è appena spento il clamore suscitato intorno all’Ospedale pugliese della Divina Provvidenza, trasformato, secondo la Procura di Trani, in un vorace buco nero capace di ingurgitare centinaia di milioni di euro. Eppure quella pentola si sarebbe potuta scoperchiare già anni fa. Era, infatti, il luglio 2007 quando il gruppo dei deputati radicali nella Rosa nel Pugno, Maurizio Turco, Marco Beltrandi, Sergio D’Elia e Donatella Poretti , su sollecitazione di un radicale foggiano, presentava un’interrogazione parlamentare ai Ministri del Lavoro e dello Sviluppo Economico per sapere come fosse possibile che, in deroga a qualsiasi procedura, la “Congregazione religiosa Suore Ancelle della Divina Provvidenza – Opera don Uva onlus” avesse ottenuto il beneficio dell’indennità di mobilità mediante una semplice autocertificazione circa il possesso dei requisiti previsti per legge.

In pratica, nessun decreto ministeriale ha mai autorizzato l’erogazione di tale ammortizzatore sociale a favore della Congregazione che gestiva le case di cura in Puglia e in Basilicata. La domanda nasce spontanea: come sono stati elargiti quei fondi se nessuno ha verificato l’esistenza dei presupposti necessari per ottenerli? Per Grazia Ricevuta? Quale mano, evidentemente santa, lo ha permesso?

Nonostante la risposta all’interrogazione sia stata sollecitata per ben dieci volte, i deputati radicali non ricevettero mai alcun riscontro dal governo e, alla luce di quanto sta emergendo ora, possiamo immaginare perché.

Il caso appena illustrato non è, tuttavia, l’unico: basta salire di qualche centinaio di chilometri a nord della Puglia, nel Comune di Roma, per rendersi conto che l’azione solitaria e isolata del consigliere comunale radicale Riccardo Magi ha contribuito a far luce sul business  messo in piedi nella gestione della – voluta – emergenza dei campi Rom. Dalle intercettazioni pubblicate emergerebbe in particolare la rabbia di Buzzi nei confronti di questo “rompiscatole”, venuto fuori da chissà dove, che tra gli altri meriti ha quello di aver fatto saltare il progetto di creare un nuovo campo Rom in località La Barbuta, dal costo di milioni di euro, con la multinazionale del bricolage “Leroy Merlin”.

Ed ancora, ricordate il consigliere laziale Fiorito, detto “Er Batman”? Senza l’azione determinante degli unici due consiglieri radicali eletti, Giuseppe Rossodivita Rocco Berardo, che denunciarono implacabilmente la spartizione di posti, poltrone e i rimborsi falsi, non si sarebbe prodotto il crollo della Giunta Polverini e del sistema di potere collegato.
Salendo ancora di latitudine, per merito di altri due militanti radicali, Marco Cappato e Lorenzo Lipparini, la magistratura ha potuto acclarare che le firme raccolte da alcune liste a sostegno del governatore Formigoni, correttamente ribattezzato “Firmigoni”, erano false e che dunque Formigoni non avrebbe potuto essere il presidente della Regione Lombardia. Peccato solo che i tempi della magistratura non abbiano coinciso con quelli della politica e che la sentenza sia intervenuta a mandato scaduto del “Celeste”.

Allo stesso modo furono altri radicali, quelli dell’associazione torinese “Aglietta” a sostenere l’illegittima elezione di un altro governatore, il leghista  Roberto Cota – quello dei rimborsi per le mutande verdi, per intenderci – anche in quel caso per le firme false raccolte da una lista in suo supporto. Stesso esito: il TAR ha riconosciuto la fondatezza della denuncia ma nel frattempo il governo leghista era stato spazzato via dall’inchiesta sui rimborsi falsi.

Insomma, cambia la Regione ma la morale è sempre la stessa: i radicali sono gli unici che, implacabili denunciano il sistema illegale imperante nella politica dei partiti. Proprio per questo sono scomodi ma al tempo stesso necessari, perché portatori di un virus pericolosissimo per il sistema partitocratico: quello dello Stato di diritto.

Matteo Ariano, membro del comitato di Radicali italiani,

Norberto Guerriero, segretario associazione radicale di Foggia “Mariateresa di Lascia”.



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