Amnistia: una ragione di più - di Rita Bernardini

Magistratura

Articolo pubblicato il 4 marzo 2015 sul quotidiano Il Garantista

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione tornano a pronunciarsi sulla legge Fini-Giovanardi dopo la dichiarazione di incostituzionalità sancita dalla Consulta il 25 febbraio dello scorso anno

Con la sentenza n. 22621 dello scorso 26 febbraio, la suprema Corte ribadisce che le pene riguardanti le cosiddette “droghe leggere” devono essere rideterminate al ribasso essendo il nostro ordinamento tornato al regime sanzionatorio pre-Fini/Giovanardi, cioè alla legge Iervolino/Vassalli così come modificata dal referendum radicale del 1993 che sancì la non punibilità dei consumatori di sostanze stupefacenti. Con questa seconda pronuncia (lo aveva già fatto il 29 maggio 2014), la Cassazione sembra ammonire il legislatore – il quale finora, nonostante sia passato oltre un anno, si è ben guardato dall’intervenire - del rischio più che probabile che in carcere continuino a starci o a finirci persone sottoposte ad una pena “illegale”; con il regime sanzionatorio previsto negli 8 anni di vigenza della malfamata legge Fini-Giovanardi, infatti, gli spacciatori di cannabis o altre sostanze stupefacenti leggere (equiparate allora a quelle pesanti) venivano sottoposti a limiti edittali che andavano da un minimo di 6 anni ad un massimo di 20, mentre oggi, a seguito della dichiarazione di incostituzionalità, la “forbice” va da 2 a 6 anni: una bella differenza, non c’è che dire!

L’ingorgo di una giustizia, quella italiana, fra le più lente al mondo, diverrà ancor di più insostenibile se continueranno ad aumentare a dismisura i carichi dei giudici ordinari che dovranno affrontare i procedimenti camerali attraverso i quali si dovrà “ricalcolare” al ribasso la pena di migliaia e migliaia di detenuti. Nel maggio dello scorso anno, la Dott.ssa Nunzia Gatto (Procuratore generale aggiunto che coordina i magistrati dell'esecuzione penale) aveva già detto con esemplare chiarezza che occorresse “seguire la linea più volte indicata dal presidente della Repubblica per alleggerire il sovraffollamento carcerario: amnistia e indulto. In quel modo - precisava - per noi sarebbe stato possibile applicare automaticamente il condono ai detenuti che ne avessero avuto diritto. Così invece il giudice dovrà rideterminare ogni singola sanzione attraverso un incidente di esecuzione alla presenza delle parti. Sarà tutto più lento e complicato”. Lentezze e complicazioni che – aggiungiamo noi – mettono il nostro Paese nella condizione non proprio invidiabile (umiliante, direbbe Giorgio Napolitano) di reiterare comportamenti sistematicamente condannati dalla Corte EDU sia sotto il profilo dell’irragionevole durata dei processi, sia sotto quello di una pena costituzionalmente illegittima essendo i principi scritti nella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo direttamente vincolanti per l’Italia.

Oltre a tutte quelle magistralmente enunciate nel messaggio presidenziale di Giorgio Napolitano alle Camere, che noi radicali abbiamo fatto nostro nella sua interezza, oggi “c’è una ragione di più” per rendere obbligato un provvedimento completo, articolato e ragionato di amnistia e indulto. La ragione sta tutta nel tempo che passa in attesa che il legislatore si decida a mettere mano, con riforme adeguate e non più rinviabili, al disastrato settore della “giustizia” nostrana. Nel suo messaggio al Parlamento dell’8 ottobre 2013, il Presidente Emerito avvertiva il Parlamento che le necessarie riforme da lui stesso indicate - e riguardanti soprattutto leggi di decarcerizzazione e di depenalizzazione - apparivano parziali, “in quanto avrebbero inciso “verosimilmente pro futuro” e non avrebbero consentito “di raggiungere nei tempi dovuti il traguardo tassativamente prescritto dalla Corte europea.” 

Possibile che il fattore “tempo” ce lo debba ricordare ancora una volta il corpo di Pannella, prosciugato dall’ennesimo sciopero della fame e della sete?

Istituzioni serie – che abbiano a cuore lo Stato di diritto e quindi la legalità della giustizia e della pena - dovrebbero immediatamente attivarsi per dare alla luce quanto previsto dall’art. 79 della Costituzione e cioè un’amnistia che, liberando le scrivanie dei magistrati consentirebbe di indirizzare maggiori forze a perseguire i reati gravi, e un indulto che farebbe uscire dal carcere coloro che devono scontare gli ultimi due o tre anni di detenzione fra i quali – certamente - le migliaia di reclusi vittime dell’”ex” legge Fini-Giovanardi.



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