L’apprendista stregone e la parola magica per fermare il sortilegio

Matteo Renzi

Primo pezzo dal nuovo Blog di laurarconti

Firenze, 3 marzo 2014 - Un lancio dell’agenzia Adnkronos annuncia l’apertura dell’iter legale - che si concluderà il 31 corrente - per la decadenza dalla carica di Sindaco di Matteo Renzi. Il consiglio comunale ha approvato la delibera che reca per oggetto Contestazione della condizione di incompatibilità al sindaco Matteo Renzi, a seguito della nomina a presidente del Consiglio dei Ministri”,   presentata dal presidente dell'assemblea cittadina Eugenio Giani.

Solo in Italia possono accadere cose del genere: che un Sindaco, diventato capo del Governo, non eserciti la elementare correttezza di dimettersi immediatamente dalla carica precedente, ed aspetti di esser messo alla porta con un atto legale dell’amministrazione comunale.

Ma nessuno si meravigli: lo stesso personaggio, dopo aver accuratamente preparato con due anni di assidua campagna elettorale la propria nomina a segretario nazionale del suo partito (mentre era regolarmente retribuito come Sindaco di una città capoluogo), ritiene di poter continuare a dirigere il partito anche dopo che è diventato presidente del Consiglio, cioè primo ministro del Governo di tutti gli italiani. Una cosa simile può accadere solo in Italia.

L’Italia, un tempo culla del Diritto, che ora assiste silenziosa ed impietrita al disfacimento di ogni regola del viver civile, ha visto per la prima volta nella storia una crisi di governo decisa durante la direzione di un partito politico, e non ha avuto neppure il coraggio di gridare che si stava attuando un colpo di stato. Qualcuno è corso a rileggere la Costituzione, temendo d’esser vittima di un improvviso attacco di senilità, per vedere se qualche articolo -nascosto chissà dove o proditoriamente cambiato- autorizzasse una crisi di governo attuata al di fuori del Parlamento. Ma l’articolo 94 era ancora lì al suo posto, e ancora recitava che “la mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un decimo dei componenti della Camera e non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione”. Ma allora come ha potuto un ragazzotto da periferia, cavalcando un’ambizione sfrenata oltre misura, tirare una gomitata alle costole di un compagno di partito perché questi si facesse da parte e gli lasciasse la poltrona? Forse un giorno gli storici lo spiegheranno alle nuove generazioni.

Tutto il resto non desta meraviglia, è stato già vissuto. Troppo presto per dare un giudizio sul Governo che Renzi ha costruito sulla sua propria misura, con scelte dettate dalla ricerca del giovanilismo ad ogni costo, convinto forse che all’inesperienza ed all’incompetenza sia possibile supplire con l’abilità di comunicatore, di tribuno che piace al popolo. Dopo il discorso della fiducia, l’Economist commenta: “esordio sfilacciato, il nuovo primo ministro d’Italia si dilunga nelle promesse ma scarseggia nei dettagli sulle riforme che intende fare”. La successiva nomina dei sottosegretari e viceministri sembra un tentativo di equalizzazione: accanto al giovane inesperto, il personaggio scelto per appartenenza partitica, che garantisce comunque l’appoggio numerico al momento del voto. Un manuale Cencelli redivivo, ed una conferma di appartenenza: ancora partitocrazia, ancora democrazia negata. E questo è già un segnale positivo, sta a significare che il delirio di onnipotenza comincia a scontrarsi con la dura realtà della dipendenza dai ricatti.

Non si deve dimenticare che la vocazione totalitaria richiede una sorta di drammatica grandezza, anche nel male, che è ben lontana dal carattere del nuovo apprendista stregone. Egli conosce la formula magica per avviare il sortilegio, ma ignora la parola che può farlo cessare prima che provochi danni irreparabili per tutti. Il tempo farà giustizia degli errori.

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