Il "Caso Taranto" capitolo de "La Peste italiana"

Ilva

Di Maurizio Bolognetti, Direzione Radicali Italiani

Adesso abbiamo compreso quale sia l’unica prepotente urgenza che conta in questo paese: assecondare l’illegalità. Pensateci, pensiamoci. Cosa sarebbe accaduto se il Ministro Severino avesse dedicato un decimo del tempo che sta dedicando alla vicenda Ilva per analizzare i dossier radicali sulla questione giustizia e sul suo putrido percolato carcerario? La verità è che in questo paese, stretto nella morsa di una illegalità sistemica, il topolino de “La Peste” è da tempo diventato una zoccola. Non è paradossale che quelli che in queste ore si mobilitano, quasi dimenticando che a Taranto si è materializzato “un consistente e allarmante nucleo di nuova shoah”, siano gli stessi che non hanno voluto, saputo e potuto tenere nella dovuta considerazione la lettera sulla questione giustizia-carceri, scritta da 130 costituzionalisti e penalisti, con la quale si chiedeva al Presidente Napolitano di riappropriarsi della veste di supremo garante del dettato costituzionale, informando il Parlamento della grave situazione di “flagranza di reato contro i diritti umani e la Costituzione” che vive il nostro paese?

C’è un giudice a Taranto, e ci sono 130 professori universitari in Italia che hanno saputo vedere e denunciare quello che andiamo raccontando da tempo su un paese che è “stato canaglia” in materia di giustizia e rispetto dei diritti umani, così come lo è in materia di tutela ambientale e quindi della salute umana.

Pensateci: nel paese dei paradossi, il magistrato che ha deciso - dopo una lunga indagine - di intervenire per tutelare la salute e l’incolumità di decine di migliaia di persone, diventa una sorta di nemico pubblico, e la voce di quei 130 docenti viene resa clandestina e il loro appello riceve una risposta che, volendo essere buoni, potremmo definire omissiva.

In questo paese, dove la democrazia è diventata da tempo un guscio vuoto, non siamo riusciti a proferir verbo sul “Caso Taranto”e men che meno a ricordare quello che Marco Pannella, venti e passa anni fa, proponeva per la città dei due mari e per il paese tutto.

Qualcuno dovrebbe forse ricordarsi cosa c’è scritto nell’art.32 del nostro vilipeso dettato costituzionale. Per parte mia, mi limito a ripetere che alle porte non dell’Ilva, ma della città di Taranto dovremmo mettere quel cartello che i nazisti posero fuori ai campi di concentramento: “Il lavoro rende liberi”. 

Approfondimenti

Reportage sul "Caso Taranto"

Intervista a Marcello Di Noi

Intervista ad Aldo Ranieri

Intervista a Fulvio Colucci

Intervista a Vittorio Ricapito

Intervista a Saverio De Florio

Intervista a Emanuele De Gasperis

No Eni, No Tempa Rossa

Intervista a Cosimo Semeraro

Le città civili sono dei cittadini

No alleciminiere dentro la città

La città dell'acciaio

  

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