Da Zanardelli a Papaleo, passando per Sanremo, Tempa Rossa e gli iperself dell'Eni

Di Maurizio Bolognetti
Nel Don Giovanni di Mozart il convitato di pietra invita il protagonista a pentirsi prima che sia troppo tardi: “Pentiti scellerato!”
Ecco, ho l’impressione che certi commenti alla mia nota critica sulla decisione di Rocco Papaleo da Lauria di prestare la sua immagine all’Eni abbiano il sapore di una richiesta di pentimento.
Mi spiace, ma non posso. Non posso dopo aver visto versare litri di inchiostro per alimentare una campagna non campanilista, ma sciovinista. Ho visto attempati cinquantenni nell'improbabile ruolo di capo clac. Ho visto austeri editorialisti trasformarsi in ultras e dirigere la ola. Per carità, comprendo che qualcuno vorrebbe portare Papaleo in processione al posto della Madonna nera Viggiano, e che a Lauria è più gettonato del venerabile Lentini, ma davvero non posso rinunciare al mio diritto di critica. A limite, come atto di contrizione, potrei appendere sulla testata del mio letto un poster con le immagini "sacre" di Scaroni, Cefis, Gelli e Papaleo, e posso impegnarmi ogni sera ad accendere un cero. Il punto è che il forse ignaro attore è diventato il terminale di qualcosa. Quel qualcosa l'ho raccontato e descritto migliaia di volte. E non si può dire "è solo un attore", perché non significa una beneamata fava. No, non tirerò in ballo Goebbels, la propaganda e nemmeno Orwell, ma è di questo che sto parlando. Sto parlando di pubblicità occulta e di editoriali prezzolati. Sto provando a descrivere un contesto.
Anche Massimiliano Mazziotta è un artista, ma ha prodotto un film documentario sulla Saras morattiana. Un film censurato più di “Ultimo tango a Parigi”.
P.S.
Curioso davvero, sparo alzo zero su un intero ceto dirigente e si limitano a perquisirmi casa, una decina di anni di processi e qualche più o meno velata minaccia ecc. Parlo di Papaleo e si scatena l'apocalisse con un direttore che si scomoda a scrivere apologetici editoriali.
Approfondimenti (a proposito di Cultura e Politica)
“Troya emigrato a Milano nel 1943, fu colto non inaspettatamente impreparato alle proprie scelte, a quanto pare, dalla fine del fascismo e dalla fine della Resistenza. Partecipò infatti alla Resistenza(questo, come vedremo, costituisce lo scandalo). C’era una formazione mista degasperiana e repubblicana(il misto comincio subito, come si vede), che lottava sui monti della Brianza. Il capo di que...lla formazione partigiana era l’attuale presidente dell’Eni Ernesto Bonocore. La cosa che vorrei sottolineare è la seguente: Troya nella formazione partigiana era secondo. E la cosa pareva gli si addicesse magnificamente fin da allora. Non vorrei mitizzare: ma Troya non ci teneva a primeggiare per primeggiare. Era qualcosa di più che ambizioso. Non aveva dunque le debolezze degli ambiziosi: la sua vita, il suo aspetto, il suo comportamento erano grigi, o, per meglio dire, ascetici. Lo erano sempre stati. In qualità di “secondo”(vicecomandante o vicepresidente) la sua tendenza ascetica a “realizzare” si attua molto meglio. Egli non avanzava, accumulava. Non saliva, si espandeva. Sarebbe troppo lungo, e per me, poi, impossibile, seguire tutta la lenta storia(due decenni) di questa accumulazione e di questa espansione. Mi limiterò dunque a dare un panorama, quale poteva presentarsi a un osservatore nel momento della nostra storia.” - Tratto da Petrolio di Pier Paolo Pasolini
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