L'isola felice che non c'è

di Piero Ferrante
“Bolognetti non ha svolto soltanto un lavoro utile, non ha solo scritto un dossier di valore. Ha fatto un gesto di amore per la sua regione, che non è bella, è bellissima. Fin tanto che potrà restare o apparire, tale. Un giorno, per questo, la Basilicata dovrà essergli grata”. Capita a volte che le parole che si vorrebbero dire sono già state scritte. E, per giunta, che siano proprio all’interno di ciò cui s’intende riservarle. Carlo Vulpio ha osservato questa missione con precisione praticamente identica a quella impiegata da Maurizio Bolognetti per redarre il miglior dossier mai pubblicato sulla Basilicata. “Un atto d’amore”, già, il suo “La peste italiana. Il caso Basilicata” (Reality Book, 2011).
Come ogni atto d’amore, un atto sofferto, doloroso: una rosa bellissima colta dalla parte dello stelo, con tanto di inevitabile emorragia di sangue. E come ogni atto d’amore sofferto chiede di limare i vizi per dar spazio alle virtù, identicamente Bolognetti poeta la Lucania decantandone gli sfregi, le tante cicatrici risultanti da vecchie e nuove ferite.
Nel concreto, “La peste italiana” analizza le ferite, preleva dal corpo della Basilicata martoriata le tracce di bava lasciatele indosso dagli stupratori. Non si ferma all’evidente, non fa mera cronaca. Cammina, corre, scruta come un segugio cartaceo tra le pieghe di una storia impietosa. Si avvia alla ricerca non di vacue contingenze, ma di responsabili in carne, ossa e malefatte. Che hanno nomi, cognomi, soprannomi, affiliazioni. Con un ritmo tanto semplice quanto martellante percorre le strade della Lucania, pesta l’asfalto rovente delle statali joniche, taccheggia la terra morta della Val D’Agri, affonda nelle nevi sporche del Vulture e del Pollino.
In questa via crucis dello scempio, le stazioni sono gli inceneritori, le trivelle, le discariche abusive, le scorie radioattive, i fanghi mal smaltiti, le acque avvelenate. La Basilicata come Gesù Cristo, in ascesa verso il Golgota dell’affare che la sta inchiodando al legno della morte. Aguzzini e legionari, gli affaristi, stakeholders spietati interessati a spremere euro laddove ne nasca l’occasione.
Bolognetti prova allora a rovesciare i giochi, a schiodare la Basilicata dalla croce, per fissarvi su, con tutta evidenza, i tanti Barabba nascosti dai veli d’omertà. O di istituzionalità. Sotto la lente dell’esponente Radicale (Maurizio Bolognetti, oltre ad essere un giornalista free lance è anche membro della direzione nazionale dei Radicali Italiani, nonché responsabile dei Radicali Lucani) finiscono personaggi pubblici ed Enti politicizzati. Bolognetti piazza alla sbarra Assessori, Consiglieri regionali, sindaci, presidenti e direttori di Uffici afferenti all’istituzione. Pone domande e si dà da solo le risposte. Che sono quanto di più distante possibile dalla rassicurazione. Ma, d’altronde, l’intento dell’autore è tutt’altro che mettere a nanna i dubbi. Anzi, Bolognetti li incentiva, li amplifica, li rende ossessioni.
Le sue 150 pagine sono sconvolgenti, stridenti, mortificanti, inquietanti. Ma sono anche un lunghissimo comizio (scritto) di buona politica. Una voce che non ha timore e di cui non si comprende come si possa fare a meno. “La peste Basilicata”, insomma, ha la morfologia (anche per la sua immediatezza), di un pamphlet strabordante di verità, un cavallo imbizzarrito che non si può domare e che scalcia e scalcia, cogliendo proprio nel petto dei problemi e dei suoi creatori.
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