Di Maurizio Bolognetti, Direzione Nazionale Radicali Italiani
Presentato nel 2009, il SISTRI, acronimo che sta per “Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti”, avrebbe dovuto garantire un efficace monitoraggio sulla movimentazione dei rifiuti speciali e pericolosi. Dal produttore alla destinazione finale, la monnezza avrebbe dovuto essere sorvegliata grazie all’ausilio dell’elettronica. Nel presentare l’iniziativa con la dovuta enfasi, il Ministero dell’Ambiente scrive: “I vantaggi per lo Stato, derivanti dall’applicazione del SISTRI, saranno quindi molteplici in termini di legalità, prevenzione, trasparenza, efficienza, semplificazione normativa, modernizzazione”.
Un’innovazione importante in un paese in cui il giro d’affari sul traffico dei rifiuti viene stimato in ben 20 miliardi di euro all’anno.
Un’innovazione importante in un paese in cui, per dirla con le parole del procuratore Pietro Grasso, il traffico illecito di rifiuti è collegato ad “imprese legali, rispettabili uomini d’affari, funzionari pubblici, operatori del settore dei rifiuti, mediatori, faccendieri, tecnici di laboratorio, imprenditori nel settore dei trasporti.”
Il 13 gennaio del 2010 viene pubblicato sulla Gazzetta ufficiale il Decreto Ministeriale 17 dicembre 2009, avente per oggetto ''Istituzione del sistema di controllo della tracciabilita' dei rifiuti, ai sensi dell'articolo 189 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e dell'articolo 14-bis del decreto-legge n. 78 del 2009 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 102 del 2009''.
Il Governo vara il SISTRI e sembra che stia per iniziare una nuova era per ciò che concerne il controllo dello smaltimento di rifiuti pericolosi, che troppo spesso, come riportano le cronache, vengono scaricati in mare, in corsi d’acqua, mescolati ai rifiuti urbani, abbandonati in zone poco frequentate o nascoste, seppelliti in campi, ecc. ecc.
Tutto bene direte voi. Non proprio! Siamo pur sempre in Italia e non basta scrivere una legge: bisogna anche applicarla.
Infatti, come da copione, il Decreto Ministeriale 9 luglio 2010 fa scattare la prima proroga, rinviando l’entrata in funzione al primo ottobre dello stesso anno.
Ma le proroghe e i rinvii in Italia sono come le ciliegie: una tira l’altra.
Così, ad un anno di distanza dal D.M. 17/12/2009, nel dicembre 2010 la teorica entrata in vigore del SISTRI, che avrebbe dovuto mandare in pensione i vecchi MUD, subisce un ulteriore rinvio al giugno 2011. La Presidente di Confindustria Emma Marcegaglia ed il presidente di Rete Imprese Italia Carlo Sangalli scrivono al ministro Prestigiacomo, lamentando ritardi nella consegna delle chiavette USB, difficoltà nel loro utilizzo, ritardi nell’istallazione delle Black box, malfunzionamenti dovuti a difetti strutturali hardware e software.
Insomma, le imprese italiane non sono pronte per adeguarsi alle disposizioni emanate dal Sistri e stando alla sopra citata lettera più di qualcosa non avrebbe funzionato.
Il tempo si sa è tiranno e corre veloce, troppo veloce per la nostra Pubblica Amministrazione, e ancor più veloce se si ha a che fare con un settore che ha fatto le fortune di consorterie e probabilmente anche fortune elettorali.
Il 16 maggio del 2011 è la Confartigianato a chiedere una “sospensione” dell’entrata in vigore del Sistri. L’Associazione di categoria denuncia in un comunicato l’esito negativo del “Click Day”, la grande prova generale che avrebbe dovuto testare il sistema. Si legge sul sito della Confartigianato di Ancona: “Lo scorso 11 maggio si è svolto su scala nazionale il “Click Day SISTRI”, ovvero un test per verificare il grado di preparazione delle aziende e l’effettiva funzionalità del sistema. Un campione di imprese ha partecipato alla prova e per un giorno ha svolto le operazioni di scarico rifiuti secondo le nuove procedure telematiche previste. Tuttavia il test è fallito: il SISTRI ha dimostrato debolezze e criticità”.
A questo punto vi starete di certo chiedendo come sia andata a finire. Che domanda? Viene stabilita un’ulteriore proroga. In un comunicato stampa la Confcommercio di Mantova spiega: “Il Sistri entrerà in vigore il 1 settembre 2011 per i produttori di rifiuti che abbiano più di 500 dipendenti e successivamente per le restanti aziende”.
Ah, ecco, ci eravamo preoccupati e per un attimo avevamo temuto che a quasi due anni di distanza dal Decreto varato nel dicembre 2009, il Sistri entrasse in vigore per tutti.
In un articolo pubblicato il 20 maggio del 2011 dalla testata “Il Sole24Ore”, Il DG di Confindustria Galli chiosa: “Il Sistri è un sistema in sé positivo, ma per ora non è applicabile”.
Rinvii, levate di scudi, mal di pancia, cattivi funzionamenti veri o presunti ed arriviamo al 12 agosto 2011 e al colpo di scena tutto, tanto, troppo italiano: nell’ambito della manovra che dovrebbe rimettere in ordine i conti pubblici, con un colpo di spugna, viene cancellato il SISTRI e con esso la tracciabilità elettronica dei rifiuti pericolosi.
Il Ministro Prestigiacomo per accorgersene impiega circa 48 ore e poi, scoperto “l’inganno”, inizia ad esprimere il proprio dissenso. Quanto credibile sia la sorpresa della Prestigiacomo, sta a voi valutarlo.
Noi ci limitiamo ad osservare che anziché rilasciare interviste a babbo morto, il Ministro bene avrebbe fatto a puntare i piedi durante il Consiglio.
Risulta davvero difficile comprendere cosa c’entri la “tracciabilità” dei rifiuti in un provvedimento sui conti pubblici, atteso che la cancellazione del Sistri non frutterà nessun risparmio allo Stato.
Nessun risparmio allo Stato, ma l’abolizione di un sistema mai decollato continuerà di certo a garantire ottimi affari a tutto il variegato mondo che ruota attorno allo smaltimento illecito dei rifiuti. E poi, per dirla con Calderoli, il Sistri alle imprese non piaceva, ma questo a dire il vero lo si era capito.
Noi abbiamo una sola certezza: le ecomafie, intese nell’accezione che del fenomeno dà il procuratore Pietro Grasso, non potranno che ringraziare.
E per dirla sempre con lo stesso Grasso: “l’impressione generale suggerisce che il grosso affare dell’emergenza rifiuti sia legato a un preciso orientamento di alcuni settori del mondo produttivo, desiderosi di ridurre i costi attraverso una costante violazione delle regole del gioco.”
Alla fine poco importa se grazie a questa dissennata decisione qualcuno continuerà a fare affari sulla nostra pelle, smaltendo rifiuti pericolosi in discariche di Rsu, inquinando interi territori, fiumi e mari. Per applicare i principi enunciati all’atto della presentazione del Sistri c’è tempo. Per ora legalità, trasparenza, efficienza e modernizzazione possono attendere.
Noi, intanto, testardamente continueremo a chiedere trasparenza sulla gestione dei rifiuti ad iniziare da quelli speciali e pericolosi, passando per gli RSU. Tutto sommato si tratta di applicare la convenzione di Aarhus, recepita dal legislatore nel 2001, e onorare l’einaudiano diritto a conoscere per deliberare. Tanto per iniziare, le Arpa potrebbero rendere disponibili on-line i dati che affluiscono nel Catasto rifiuti ai sensi dell’art. 189 del D.LGS 152/2006.
Che dite? Questa piccola storia può rappresentare un paragrafo de “La Peste Italiana”?
Io dico di sì! E mi chiedo anche, se e quando l’opposizione di regime deciderà di far sentire la propria voce su questa vicenda.
P.S.
Intanto, alla faccia della trasparenza e della facilità di accesso all’informazione in materia ambientale, il Ministero dell’Ambiente mi dice che per poter acquisire gli atti relativi al Sin di Taranto devo recarmi a Roma dopo aver effettuato un versamento di 5 euro per la visura e ricerca dei documenti, di 0,25 euro per ogni copia fotostatica di fogli formato A4 e di euro 0,50 per ogni copia fotostatica di fogli formato A3.
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