Autorizzazione a Procedere richiesta dalla Procura di Milano sull’on. Silvio Berlusconi..

Berlusconi
Ai sensi dell’art. 96 della Cost. “Il Presidente del Consiglio dei Ministri e i ministri, anche se cessati dalla carica, sono sottoposti, per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni, alla giurisdizione ordinaria, previa autorizzazione del Senato della Repubblica o della Camera dei deputati, secondo le norme stabilite con legge costituzionale”.
Tale norma costituzionale, ai fini della sua applicazione, risulta integrata dalla normativa dettata dalla Legge costituzionale n. 1 del 16.1.1989.
Al riguardo, l’art. 6 della legge cost. citata detta che:
“1.I rapporti, i referti e le denunce concernenti i reati indicati nell’art. 96 della Costituzione sono presentati o inviati al procuratore della Repubblica presso il Tribunale del capoluogo del distretto di corte d’appello competente per territorio.
2. Il procuratore della Repubblica, omessa ogni indagine, entro il termine di quindici giorni, trasmette con le sue richieste gli atti relativi al collegio di cui al successivo art. 7, dandone immediata comunicazione ai soggetti interessati perché questi possano presentare memorie al collegio (ndr. Tribunale dei Ministri) o chiedere di essere ascoltati.”
Come si evince dal combinato disposto della normativa costituzionale, tale modus procedendi relativa all’obbligo di trasmissione degli atti da parte della Procura al cd. Tribunale dei ministri postula, a monte, che vi sia un cd reato “ministeriale”ai sensi dell’art. 96 Cost.
La questione allora, che rileva anche in questa sede e che rappresenta un punto centrale nella relazione dell’on. Leone, è relativa all’individuazione del soggetto/organo deputato, nella sistematica del nostro ordinamento processuale penale, a qualificare il reato quale reato comune o quale reato ministeriale.
Ebbene sul punto la giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione è pacificamente orientata nel senso che tale qualificazione spetta in via preliminare ed in maniera inequivoca al P.M. o, successivamente, al G.I.P..
Al riguardo:
Cass. Pen. Sez. VI, 6.8.1992, n. 2865, Ferlin, la quale specifica che “L’obbligo di trasmissione al cosidetto “Tribunale dei ministri” degli atti concernenti i reati indicati nell’art. 96 Cost. previsto dall’art. 6 l. cost. n. 1 del 1989 sussiste a condizione che venga ravvisata, quantomeno sotto il profilo del dubbio, l’ipotizzabilità di un reato “ministeriale” (commesso cioè da un ministro nell’esercizio delle sue funzioni). Esso, quindi, non sussiste quando tale ipotizzabilità è esclusa dal P.M. o, successivamente dal g.i.p.”.
E ancora: Cass. Pen. Sez. I, 22.5.2008 n. 28866: “Non è configurabile alcuna competenza del collegio, istituto a norma dell’art. 7 dell’art. della l. cost. 16 gennaio 1989, n. 1, a deliberare in tema di reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni dal presidente del Consiglio dei ministri o dai ministri, allorchè non esista, nei loro confronti, una notizia criminis qualificata, nel senso che il rapporto, il referto o la denuncia dichiaratamente relativi a reati di cui all’art. 96 Cost. ricolleghino ad essi la commissione di un illecito di rilevanza penale, la verifica della quale spetta, sotto la sua responsabilità, al p.m., pur privo, una volta che abbia ricevuto rapporto, referto o denuncia, di poteri d’indagine, spettanti solo al predetto collegio.” 
Pertanto, una volta acquisita una notizia criminis da parte del P.M. nei confronti del Presidente del consiglio o di un ministro, la qualificazione circa la natura ministeriale del reato o meno spetta inderogabilmente a lui (non si rinviene alcuna sentenza della giurisprudenza di legittimità di contrario avviso).
Pertanto, non avendo rinvenuto il P.M. nel caso de quo alcun reato ministeriale, ed anzi essendo il capo di incolpazione chiaramente formulato nel senso di escludere qualsiasi nesso tra la contestata concussione e “l’esercizio delle funzioni” - abusivo o meno che sia – non può ritenersi violato, contrariamente quanto postula il relatore Leone al fine di suffragare la tesi del fumus persecutionis, nessun obbligo di inoltrare gli atti al cd. Tribunale dei ministri da parte della Procura.
Conseguentemente deve escludersi in nuce un qualsiasi fumus perscutionis in quanto, una volta acquisita da parte del P.M. la notizia di reato in ordine agli accadimenti per cui si discute, l’art. 112 Cost. impone agli stessi, inderogabilmente, il dovere di procedere ad effettuare accurate indagini, non potendosi tollerare prassi, purtroppo non infrequenti, elusive del precetto di cui all’art. 112 Cost.
Ad integrazione di tale conclusioni, e per inciso, si specifica che nel caso de quo, le condotte delittuose contestate nel capo di incolpazione non sono inquadrabili nella categoria del reato ministeriale  neppure alla luce della sent. SS.UU n. 14 del 20.7.1994 (che richiede una connessione strumentale e un collegamento funzionale tra condotta incriminata e qualità del soggetto attivo), in quanto la nella condotta, come sopra detto, si contesta l’abuso della qualità, cioè del solo status soggettivo dell’essere, l’indagato, il Presidente del Consiglio (“abusando della sua qualità di Presidente del Consiglio dei Ministri, la notte tra il 27 e il 28.5.2010, avendo appreso che la minore El Mahroug Karima – da lui precedentemente frequentata – era stata fermata e condotta presso la Questura di Milano, si metteva in contatto con il Capo di Gabinetto del Questore, dr. Pietro Ostuni e (…) lo sollecitava ad accelerare le procedure per il suo rilascio (…) e, quindi induceva il dr. Pietro Ostuni a dare disposizioni (…) affinchè la minore venisse affidata a Minetti Nicole (…)” integra un’azione delittuosa posta al di fuori e per fini altri, non ricollegabili in alcun modo ad alcun esercizio di funzioni di governo, quali quelle esercitate (o che dovrebbero essere esercitate) dal Rappresentante dell’esecutivo.)
 
Quanto alla competenza territoriale della Procura di Milano – nella relazione dell’on. Leone si segnala, quale secondo punto sintomatico di un possibile fumus persecutionis, la incompetenza territoriale dei PM procedenti - occorre evidenziare che anche sul punto non possono essere mosse censure all’operato dei magistrati inquirenti.
Data per pacifica la circostanza per cui la competenza territoriale, come stabilito dall’art. 16 del Codice di Procedura Penale, in caso di connessione tra reati appartiene al giudice competente per il reato più grave - che nel caso di specie, stanti le pene edittali, è senz’altro quello di cui all’art. 317 c.p. – occorre interrogarsi sul luogo, e dunque necessariamente sul momento, della consumazione di questo reato, così come risulta contestato nel capo di incolpazione.
La recente giurisprudenza di legittimità con riguardo alla consumazione del reato di concussione caratterizzato da condotte in cui la promessa o la realizzazione dell’utilità sia frazionata nel tempo, ha precisato che: “Il delitto di concussione rappresenta una fattispecie a duplice schema, nel senso che si perfeziona alternativamente con la promessa o con la dazione indebita per effetto dell’attività di costrizione o di induzione del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, sicchè se tali atti si susseguono, il momento consumativo si cristallizza nell’ultimo, venendo così a perdere di autonomia l’atto anteriore della promessa e concretizzandosi l’attività illecita con l’effettiva dazione , secondo un fenomeno assimilabile al reato progressivo Cass. Pen., Sez. VI, 5.6.2007, n. 31689), e ancora: “Il delitto di concussione si sviluppa mediante azioni causalmente concatenate ovvero abuso della qualità o dei poteri del pubblico ufficiale, costrizione o induzione del concusso ad un determinato atteggiamento, promessa o dazione, fermo restando che esso, pur potendosi consumare con la sola promessa di denaro o di altra utilità e pur rimanendo unico quando alla promessa segua la dazione, postula lo spostamento in avanti del momento consumativo in coincidenza con la dazione medesima (Cass. Pen. Sez. I, 2.12.2005, n. 47289).
Al riguardo, nel caso de quo, secondo la stessa costruzione del capo di incolpazione formulato dai PM, il momento consumativo del reato, stante il realizzarsi ed il susseguirsi di una serie di condotte, deve essere necessariamente rinvenuto nel momento in cui l’utilità promessa – indotta dall’indagato abusando della sua qualità - effettivamente si è realizzata.
Il che è avvenuto inequivocabilmente in quel di Milano all’atto della presa in carico della minore Karima da parte della Sig.ra Minetti, in violazione delle norme riguardo l’affidamento della minore alle autorità minorili.
 
Di talchè accertata la correttezza sui due precedenti punti dell’operato dei Pubblici Ministeri e  dunque sgombrato il campo dai due postulati che il relatore ha inopinatamente utilizzato al fine di sostenere l’esistenza di un fumus persecutionis, occorre ribadire che il compito della Giunta al fine del rilascio o meno dell’autorizzazione di cui all’art. 18 del Regolamento della Camera, rimane esclusivamente quello di valutare, nel merito, se vi siano elementi altri per dire che i PPMM abusando delle loro funzioni stiano agendo al fine di invadere la sfera di attribuzioni e prerogative dei parlamentari o, ragionando a contrario, se invece in presenza - seppur in seguito ad una valutazione sommaria – di un fumus boni juris in ordine alla fondatezza della notizia di reato, i Pubblici Ministeri stiano solamente e doverosamente dando seguito al principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, con ciò dovendosi, in radice, escludere una qualsiasi possibilità di fumus persecutionis.
La risposta a questa domanda è molto semplice. Dagli atti che sono stati inviati al seguito della richiesta da parte della Procura di Milano, emergono elementi sufficienti per ritenere non manifestamente infondata la notizia criminis (altro è un giudizio di colpevolezza che potrà eventualmente esserci solamente all’esito di un processo penale, ed a seguito dei tre eventuali gradi di giudizio), il che impone ai PM di svolgere le indagini, sia che l’indagato si chiami Mario Rossi, sia che l’indagato si chiami Silvio Berlusconi o Roberto Formigoni.
In caso contrario sarebbe eluso il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale.
Intervento on. Maurizio Turco

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