Zittiamo i no Tav

Dalla Rassegna stampa

Ieri, ai funerali di Lucio Dalla, una piazza piena di italiani commossi e solidali ha riscattato le tante piazze che negli ultimi giorni sono state popolate da gentaglia violenta che il Paese lo vuole denigrare se non distruggere. È la prova che c'è un'Italia assolutamente per bene e maggioritaria, che non ne può più di una esigua minoranza che monopolizza attenzioni e risorse. Manca solo il coraggio, o il pretesto, perché questa maggioranza silenziosa esca allo scoperto per smentire che usa il suo silenzio per sostenere che «l'Italia non vuole la Tav» o panzane simili. Successe già una volta, eravamo nel 1980, quando proprio in Piemonte, per la precisione a Torino, dirigenti, quadri e operai Fiat scesero in piazza per dire basta a un sindacalismo arrogante e violento che paralizzava l'azienda e l'intero Paese. Fu una svolta, l'inizio di una nuova stagione di pace sociale, fiducia e benessere, il famoso secondo miracolo italiano.

Qui non è più una questione di destra o sinistra, di berlusconiani o antiberlusconiani. Con i No Tav si sta toccando il fondo del barile, siamo alla negazione della democrazia e al limite della sopportazione. Ieri il loro eroe dal palco della Val di Susa ha paragonato i nostri poliziotti ai nazisti che rastrellavano le campagne e le montagne piemontesi trucidando donne e bambini. Io non so se questo è reato, ma certo non è più possibile sopportare in silenzio. Io spero che una frase del genere non resti impunita: i sindacati dei poliziotti, il ministro degli Interni dovrebbero passare alle vie legali. Per farlo non dovrebbero più sentirsi soli e l'unico modo è che sentano e vedano che la stragrande maggioranza dei cittadini è dalla loro parte. Il governatore del Piemonte, Roberto Cota, sabato ha evocato una riedizione della marcia della maggioranza silenziosa. È un'idea da non lasciare cadere. Rimanere zitti vuole dire rendersi complici di chi ha preso in ostaggio la Val di Susa e con essa l'Italia tutta.

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