Xenofobi. Un po' razzisti, un po' nazisti, cresce l'Europa dei "cattivi"

Dalla Rassegna stampa

C'è chi brucerebbe il Coranno, c'è chi sospira davanti al santino di un gerarca nazista e chi dice di avere una ricetta precisa (non nuova) per risolvere la questione dei rom. Mostrano priorità e gusti diversi, i Geert Wilders d'Europa, ma hanno tutti due cose in comune: ce l'hanno a morte con le minoranze e, a guardare i risultati elettorali, sembrano avere il vento in poppa.
L'allarme era già scattato con gli exploit delle europee del giugno scorso, ma oggi le formazioni dell'estrema destra continentale tornano alla ribalta grazie alle ottime prospettive in quattro prossimi appuntamenti elettorali e grazie proprio a lui, Geert Wilders, il biondino terribile che il 13 marzo, con il suo Partito della libertà, ha trionfato alle municipali olandesi (il più votato ad Almere, con il 21 per cento dei voti, e il secondo alAja con il 18).
Paladino degli islamofobi europei, Wilders, 46 anni, ha chiesto la messa al bando del Corano, che paragona al Mein Kampf hitleriano, e ha scritto e ideato un film antimusulmano, Fitna (per gli appassionati del genere: starebbe lavorando a Mtna 2). Il 20 gennaio si è aperto nei suoi confronti, ad Amsterdam, un processo per incitamento all'odio verso l'Islam, ma questo non ha imbarazzato gli elettori della «tollerante» Olanda, che ora, alle legislative del 9 giugno, potrebbero spingerlo persino al governo.
Tra i nemici di queste destre nazionaliste e populiste, è vero, ci sono anche l'Europa e le élites politiche e culturali, ma il core business è un altro. Sono gli immigrati e le minoranze in generale, colpevoli di essere diversi e di approfittare delle risorse del welfare state. Prendete Gàbor Vona, 31 anni: con il suo Jobbik, formazione di destra radicale ungherese, alle europee ha conquistato tre seggi. In vista delle legislative dell'11 aprile, i sondaggi attribuiscono al suo partito il 14 per cento dei voti. Niente male, per uno che è favorevole alla pena di morte e nel 2007 si era inventato la Magyar Garda (Guardia ungherese), un corpo paramilitare, poi giudicato incostituzionale.
Possono guardare ai prossimi appuntamenti con ottimismo anche l'estrema destra slovacca, austriaca e svedese. A Bratislava le elezioni si terranno il 12 giugno e il Partito nazionale di Jàn Slota, 56 anni, punta a eguagliare quell'11 per cento di voti che, nel 2006, lo ha fatto entrare nel governo del socialista Robert Fico. Da lì è riuscito, prima, a bandire l'uso di ogni altra lingua
ufficiale che non fosse lo slovacco; e poi, poche settimane fa, a imporre per legge l'inno nazionale nelle scuole all'inizio di ogni settimana. Uno schiaffo al primo nemico di questa destra, ovvero la minoranza ungherese (dieci per cento della popolazione), che per Slota è un «tumore»  (mentre i rom sono un problema da risolvere con «una lunga frusta e un piccolo recinto»).
Alle presidenziali austriache del 25 aprile, invece, la filonazista Barbara Rosenkranz, 51 anni, candidata dellìFpó (Partito della libertà) che fu di Jórg Haider, potrà contare sul sostegno del Kronen Zeitung, il giornale più venduto del Paese. Ma non lo userà per esprimere di nuovo dubbi sull'Olocausto, perché ora si è fatta furba e dice di essere «di centro». A Stoccolma si frega le mani il trentenne Jimmie Akesson, per il quale l'Islam «è la maggiore minaccia per la Svezia dai tempi della seconda guerra mondiale». C'è chi è d'accordo: a settembre la sua Svezia Democratica entrerà per la prima volta in Parlamento e rischia di risultare decisiva per la formazione del governo.
Il vento dell'estremismo di destra soffia anche sulle civilissime terre scandinave, dove l'ossessione anti-islamica è condivisa anche dalla norvegese Siv Jensen, quarant'anni, a capo del Partito del progresso (secondo nel Paese grazie al 22,9 per cento conquistato a settembre). Però gli eredi di Jean-Marie Le Pen (che ha ormai perso lo smalto elettorale) sono ben distribuiti in ogni angolo del continente.
In Gran Bretagna, per esempio, la destra xenofoba ha il volto dell'eurodeputato negazionista del Bnp (British National Party) Nick Griffin, cinquant'anni, che è stato da poco costretto a modificare lo statuto del Bnp e ad aprire il partito anche a membri non bianchi. Ma xenofobia e antisemitismo sono tratti comuni anche ai neofascisti tedeschi e russi.
In Germania l'ex capitano dell'esercito Udo Voigt, 57 anni, leader dei nazionaldemocratici,
considera un martire il nazista Rudolf Hess, e Adolf Hitler «un grande statista». Come lui, anche l'ultranazionalista russo Vladimir Zhirinovskij, 63 anni, leader dei liberaldemocratici e vicepresidente della Duma, vorrebbe rispedire «a casa loro» gli immigrati, a partire dai cinesi e dai caucasici, che insieme agli ebrei starebbero rovinando la patria russa.
In questo catalogo dell'intolleranza anche l'Italia è ben rappresentata, se pensiamo a certe proposte choc della Lega Nord (come quella dì orga- nizzare un «maiale day» contro la costruzione di una moschea a Bologna, di sottoporre gli immigrati a controlli psichiatrici o di riservare dei vagoni della metropolitana ai soli milanesi). Oggi i seminatori d'odio d'Europa fanno ancora più paura perché hanno creato un loro network e si spalleggiano a vicenda.
Quelli di Jobbik invitano a Budpaest Nick Griffin, che a sua volta firma una petizione in difesa di Wilders, che da parte sua, nel febbraio del 2009, vola a Roma per presentare il suo film e ricevere un premio intitolato a Oriana Fallaci dalle mani del leghista Mario Borghezio. Il quale,
nell'occasione, lo ringrazia con una lode sperticata: «Sarei veramente onorato e lieto di una venuta di Geert Wilders in Padania» dice «dove uomini come lui riceveranno sempre il saluto e l'omaggio che si deve ai campioni della libertà».
 

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