Il volto umano del premier tecnico

Ci sono momenti nei quali i calcinacci, il sangue e le lacrime di un popolo non possono restare soli, lo Stato deve esserci, mostrare un’anima: Mario Monti, congedandosi anticipatamente dai leader dell’Occidente riuniti al vertice Nato di Chicago e dismettendo l’algido aplomb indossato per sei mesi, ieri ha partecipato ai funerali di Melissa e oggi in EmiliaRomagna toccherà con mano macerie, paura, dolore. Passaggi doverosi per un capo di governo. Ma con i tempi che corrono, non era scontato l’applauso che nella chiesa di Mesagne ha salutato l’evocazione del presidente del Consiglio.
Per il premier tecnocrate, quell’applauso spontaneo, la decisione di «sporcarsi» il vestito e di guardare in faccia l’angoscia sembrano essere il preannuncio di una «svolta emozionale». Mario Monti ha deciso di ribaltare una critica non esplicita ma che era nell’aria: quella di essere sprovvisto di empatia, della capacità cioè di «sentire» lo stato d’animo dei suoi concittadini. Qualche settimana fa il rappresentante di tutti i sindaci d’Italia, Graziano Delrio, padre di nove figli, primo cittadino di Reggio Emilia, usò un’espressione a prima vista un po’ corriva: «Il presidente Monti deve aprire gli occhi, badare alla signora Angela, ma anche alla signora Maria». Eppure, quella battuta ha finito per dar voce ad una sensazione diffusa. Il gap di «presenza» sul campo dei ministri tecnici ha sicuramente segnato la stagione iniziale dell’esecutivo tecnico, come hanno imparato per primi gli abitanti dell’Isola del Giglio, che dopo esser stati protagonisti involontari di un evento di cui hanno parlato i notiziari di tutto il mondo, hanno visto apparire il primo rappresentante del governo alcune settimane dopo la tragedia. Per non parlare dell’approccio, prevalentemente contabile, al fenomeno dei suicidi.
Certo, la storia recente anche in altri Paesi racconta di una capacità di «interpretare» le catastrofi che, in alcuni casi, diventa arte comunicativa, capacità di trasformarsi in consenso. Come dimostrano gli indimenticabili stivaloni del cancelliere Schroeder in mezzo alle acque dell’Elba. Da noi, come sappiamo bene, ci vuol poco a trasformare la necessaria vicinanza dello Stato in spettacolo, la necessaria empatia in professionismo del dolore. Confini che Mario Monti non sembra esser capace di valicare: appena entrato a Palazzo Chigi, aveva dimostrato di interpretare l’umore del suo popolo, facendo della sobrietà la sua bandiera. Incoraggiato dai successi e dal consenso iniziali, Monti ha poi alzato un muro concettuale, sostenendo che sono state proprio le «ragioni del cuore», quelle che hanno portato l’Italia sull’orlo del baratro. E dunque, se i partiti sono stati troppo buoni, tocca a lui fare la parte del «cattivo». E’ il ruolo che Monti si è preso per passare alla storia come il «salvatore» dell’Italia, ma ora anche il professore della Bocconi sembra aver compreso che l’arte del governare comprende anche la capacità di creare una sintonia emozionale con la gente comune.
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