Voglia di Dc

Molto si discute e molto si discuterà - ancora a lungo - sul ruolo dei cattolici italiani in politica. È proprio un assillo. L'appello unanime (o quasi) che sale da quelle sponde è: "Basta con la rassegnazione! Dobbiamo contarci, dobbiamo farci valere, non vogliamo più essere insignificanti. Usciamo fuori!" Una voce autorevole li ammonisce: "Il silenzio è un peccato". Non finisco di stupirmi: fuori, ma dove? è già tutto occupato! Sappiamo tutti, credo, quanto il mondo cattolico impone al paese. Sappiamo anche che si contano sulla punta delle dita i politici contrari alle sue pretese (per la precisione sono nove: i parlamentari radicali): la classe politica italiana, quella che si proclama credente (ma è, molto spesso, ipocrita) e quella che si dice laica (ma è quasi solo impudente) sgomita per farsi valere oltretevere, là dove pare risieda l'unico potere forte e affidabile, seppur in sede extraterritoriale. Facilissimo, poi, elencare i favori o vantaggi che il cattolicesimo ufficiale ottiene nei più vari settori. E non parliamo della sua. presenza in Rai. Io non ne faccio (eccessivo) scandalo, cose analoghe avvengono anche nei paesi protestanti a vantaggio di confessioni per lo più ormai divenute chiese "nazionali", piuttosto impari rispetto a quel Lutero cui recentemente Benedetto XVI ha reso omaggio; nella stessa America i condizionamenti sulla politica degli ultrà delle diverse confessioni, o sette, sono fortissimi.
Comunque è vero, nella sfera della cosiddetta società civile italiana il mondo cattolico gode di indubbi favori. Ma, si controbatte, questa situazione non è determinata e governata da una presenza politica di segno apertamente cattolico; essa è a carico, direttamente, della chiesa-istituzione, sia pure attraverso strutture italiane, come la Cei. Il confronto istituzionale, sociale e, alla fine, anche politico comporta per la chiesa (basti ricordare la stagione del cardinale Ruini) una sovraesposizione che probabilmente anche oltretevere non è vista favorevolmente da tutti. Occorre dunque - è il senso dell'appello di quei militanti - fare spazio ad una presenza dei cattolici laici che si assumano in quanto tali la responsabilità politica della loro appartenenza religiosa. Ovviamente, in quest'ottica, è forte e comprensibile il rimpianto per la Democrazia cristiana, e sono molte le voci che ne auspicano il ritorno. A questo punto però l'unanimità dei cattolici militanti si incrina. Ed è indubbio che la ripetizione di quella esperienza si scontra con una quantità di problemi. Se è consentito a uno che non fa il politologo esprimere una opinione politologica, la questione non sta nella mancanza di un partito unico modello De - che unisca le iniziative cattoliche, numerose, potenti e che hanno già un loro peso rilevantissimo. È che i tempi e la società sono cambiati: la Democrazia cristiana viveva su un retroterra nel quale la presenza cattolica era "culturale", indiscussa, profonda, stratificata, inamovibile o quasi; oggi, invece, non c'è dato statistico, non c'è inchiesta sociologica che non ci dica che quel retroterra di fedeli obbedienti non c'è più.
L'arrocco sui cosiddetti valori etici
La chiesa questo, forse, lo ha capito, sa di non poter più contare sulla rete delle parrocchie e del loro cattolicesimo di massa. Forse è per questo che si è arroccata nella intransigente difesa dei cosiddetti valori etici. Sa che questa trincea è difficile da sfondare, almeno in Italia: in altri paesi cattolici comincia a sgretolarsi. I temi etici sono valori "non negoziabili": fanno barriera, impongono frontiere.
Giusto o sbagliato che sia - non è in questa sede che è possibile discuterne occorre a questo punto far notare che c'è incongruenza tra l'offerta di dialogo rivolta ai laici e la rigida chiusura frapposta intorno ai valori "non negoziabili". Con chi ha nel bagaglio valori "non negoziabili" non c'è possibilità di dialogo, il dialogo richiede la negoziabilità dei temi in discussione. La non-negoziabilità deve investire e investe, come è logico e doveroso, la coscienza. Addirittura la coscienza del singolo, nemmeno quella di un qualsiasi associazionismo rappresentativo dei credenti: se non altro perché, almeno da un punto di vista laico, la linea della non-negoziabilità non può essere identica per tutti e ciascuno: non siamo nel campo della dogmatica teologica e dunque ogni asserzione, anche la più autorevole, richiederà una interpretazione, una esegesi: non c'è bisogno di essere laici militanti per ammetterlo.
La corpacciuta Balena Bianca seppe navigare negoziando sui suoi più sentiti valori. Oggi, un partito non ugualmente ancorato nella società non ne avrebbe la forza, dovrebbe sempre poter contare sull'appoggio della chiesa, dell'istituzione. E questo lo renderebbe incapace di vera (anche sofferta) autonomia. Come potrebbe dunque pretendere a quella legittimazione laica che fu concessa alla Democrazia cristiana? E, peraltro, potrebbe mai il nuovo eventuale partito cattolico far suo il proclama dei popolari di Don Sturzo, rivolto orgogliosamente "ai liberi e forti"?
© 2011 Il Foglio. Tutti i diritti riservati
SU