La vita seria

Dalla Rassegna stampa

Ragazzino, come mai cammini accanto ai binari del treno? Vado per la mia strada, risponde Flavio alla donna di Moncalieri che lo interroga dal bordo del viale. Meglio allontanarsi dalla città, seguire il percorso della ferrovia finché ci sono soltanto prati intorno. È allora che il ragazzino posa a terra lo zaino e corre fra i binari con un tempismo perfetto che impedisce al macchinista di frenare. Aveva quindici anni e un quattro e mezzo di matematica nel suo diario. Adesso scaveranno sulla sua famiglia, il genitore duro, il genitore assente. Tutto vero, tutto relativo. Di assoluto c’è solo quel gesto che sembra ricordarci qualcosa.

I nostri quindici anni. Quando la vita è ancora una cosa seria da prendere molto sul serio, senza chiaroscuri né ironie a farci da guscio. Quando un quattro a scuola non è un quattro, ma una sentenza definitiva. E lo sfiorire del primo amore diventa l’archetipo irripetibile di ogni sofferenza futura, come ricorda Nick Hornby alla fidanzata trentenne che lo ha lasciato, nell’incipit memorabile di Alta fedeltà: «Se volevi davvero incasinarmi, dovevi arrivare prima». Perché poi la vita cambia e ci cambia, rendendoci disponibili ai compromessi, ai ragionamenti, alle lusinghe del buon senso e della convenienza. Uno impara a dominare gli istinti, a mentire a se stesso oltre che agli altri, a osservare la realtà in diagonale e non sempre di petto. Ma non tutti arrivano a questo stadio. Qualcuno si ferma prima. Perché più idealista, più tormentato, più debole. Nessuno lo incolpi e nessuno si senta in colpa. Flavio è andato per la sua strada e a me viene soltanto da dirgli ciao.

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