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Tina Brown riparte, un'altra volta. Per lanciare il suo nuovo Newsweek, un patrimonio del giornalismo americano che stava per finire dilapidato, ha scelto non a caso il salotto tv di Christiane Amanpour: segno che, assieme a Arianna Huffington, sono le donne, queste donne, che stanno ridisegnando il volto, e non solo, dei media a stelle e strisce. Cinquantenni con un lungo avvenire dietro le spalle, che vengono tutte da fuori; chi dalla Grecia, chi dall'Iran, chi come Tina da Londra, or sono 27 anni. Tocca a loro soccorrere fragili giganti come Aol o Newsweek, appunto, rimettendoci mano, spostando redazioni, reinventando sezioni e rubriche, ravvivando blasoni impolverati. Brown c'è già passata, eccome: con Vanity Fair e l'azzimato New Yorker, entrambi sottoposti a una cura radicale che all'epoca ha terremotato consuetudini e liturgie, proiettando Tina nello stardom mediatico.
Temuta, invidiata, imitata, il direttore di Newsweek è un mix quasi unico di fiuto per la notizia e meticolosità con cui affronta ogni nuova sfida. Fu così per Talk, lo sfortunato magazine che Tina continua a rivendicare come un esperimento che viene ancora scopiazzato. E poco importa che sulla prima di quel settimanale campeggiasse la stessa Hillary Clinton che oggi sorride nelle edicole dalla copertina del rinato Newsweek (dove, per inciso, unica italiana tra le donne che fanno la differenza nel mondo è Emma Bonino).
Lunghe fedeltà che Brown porta con nonchalance come un valore aggiunto del suo modo di fare giornalismo, nato alla scuola dei tabloid britannici per arrampicarsi fino alle riviste patinate americane. O al web, dove due anni fa ha calato il Daily Beast come fosse una rivincita personale; e, infatti, puntuale il sito ha rilevato tutto compreso nientemeno che il rivale di Time magazine. Purché se ne parli, insomma. Come sanno bene anche Christiane o Arianna, sister in arms di un giornalismo che ricomincia da tre.
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