Viola, giallo e altri colori

Dalla Rassegna stampa

L'altra sera ho sentito in un tg un politico (Claudio Fava di Sinistra Ecologia Libertà, certo non uno dei peggiori) rispondere a una domanda di questa natura: come vi spiegate che questo movimento nasca fuori dai partiti? La scena avveniva in piazza dei Popolo, a Roma, durante il secondo «No B Day» convocato dal «popolo viola». Fava ha risposto, più o meno: siamo contenti, perché vuol dire che c'è una grande vivacità, nella società, ecc. Solo due giorni dopo si è tenuta la «giornata senza di noi», lo «sciopero dei migranti», che incredibilmente ha aperto una breccia nel muro dei media, così che perfino il Foglio di Giuliano Ferrara si è chiesto «come faremo senza di loro, visto che producono quasi il 10 per cento del Prodotto interno lordo?». Il colore scelto per la giornata era il giallo, e il tutto è avvenuto, proprio come nel caso dei viola, grazie a un intreccio di comunicazioni nel web e a relazioni dirette (Comitati Primo Marzo sono nati in decine di città), con i partiti e anche i sindacati che, a macchia di leopardo, aiutavano o ignoravano, inseguivano o non capivano affatto.
Allora, viola e giallo. Ma altri colori si potrebbero citare, come il bianco delle bandiere No Tav e No Dal Molin (e No a tante altre aggressioni al territorio) o l'arcobaleno della pace. Cos'hanno in comune, pur essendo molto diversi quanto a temi e linguaggi e modi di manifestarsi? Hanno in comune lo colori che non stiano nell'archivio della politica novecentesca. Poi, nascono e agiscono tenendosi lontani dalla politica dei partiti, tanto che ad esempio il referendum contro la privatizzazione dell'acqua (il cui colore dominante sarà ovviamente il blu), per il quale la raccolta di firme comincerà all'indomani della manifestazione nazionale per i beni comuni, l'acqua e il clima che si terrà a Roma il 20 marzo, è organizzato da un comitato referendario che, pur accettando l'aiuto dei partiti, li prega gentilmente di non chiedere di comparire tra i promotori ufficiali.
La scorsa settimana le Monde ha scritto che in Italia, nonostante la follia di Berlusconi e gli scandali, ha prevalso la rassegnazione e domina l'ignavia. I francesi progressisti, che dovrebbero badare al loro Sarkozy e ai dibattiti razzisti sull'«identità nazionale», con tutta evidenza si sbagliano: l'errore sta nel guardare alla superficie della politica cercando lì i segnali di una ribellione. Sotto quel coperchio, proprio al contrario, imponenti parti della società italiana si affannano a trovare il modo di reagire, di darsi un'altra possibilità, di dire ad alta voce quanto questa deriva spinga a pronunciare la parola che compare, nelle manifestazioni o comunicazioni di questo tipo, sempre più frequentemente: basta. E se guardiamo alle dimensioni di questi fenomeni, e se si è onesti, c'è da sbalordire: i viola sono alla seconda manifestazione nazionale, meno oceanica della prima ma comunque sorprendente; la «giornata senza di noi,, ha provocato azioni e manifestazioni in tutto il paese, molto oltre il Clandestino Day che Carta propose, più o meno negli stessi modi, l'anno scorso; i comitati per l`'cqua pubblica sono un migliaio, e le speranze di raccogliere mezzo milione di firme e di vincere il referendum sono molto concrete; i
valsusini No lav e i loro cugini in giro riescono spesso a diventare maggioranza nelle loro comunità. Eccetera.
E dunque la domanda che conviene formulare non è - non è più - perché i partiti (di sinistra, di opposizione) non se ne rendono conto e non cambiano di conseguenza il loro modo di essere. La domanda è invece: perché la multicolore società che si ribella non cerca i modi di collegarsi, di organizzarsi - certo in modo molto diverso da come fanno i partiti - e di riprendersi la politica,
reinventandola?
É proprio per questo che Carta e amici convocarono nell'ottobre scorso, alla Comunità delle Piagge, a Firenze, un incontro intitolato «Democrazia chilometro zero» a cui parteciparono circa trecento persone venute da tutta Italia e che appartenevano ad ogni genere di organizzazione sociale, locale, tematica e di cittadinanza. Quel tentativo potrebbe ora conoscere qualche sviluppo molto interessante.
Anche perché è ora di darsi una mossa, come si dice a Roma, in questo brodo di corruzione, imbrogli e rottamazione delle più elementari regole democratiche (inclusi i modi di presentare liste alle elezioni).
 

© 2010 Il Manifesto. Tutti i diritti riservati

SEGUICI
SU
FACEBOOK