Venezuela, voto-sorpresa Chavez è in minoranza

Hugo Chàvez canta vittoria, ma è il primo a non crederci. Non è apparso nella notte al balcone presidenziale per il tradizionale discorso della vittoria, dando buca a migliaia di aficionados. A urne chiuse, i suoi dell'authority elettorale hanno fatto attendere il Venezuela,per otto ore, prima di diffondere i dati delle elezioni legislative. Altro segnale che le notizie da comunicare non erano granché buone. Ieri mattina, poi, Chàvez si è attaccato a Twitter, l'ultima passione, per ironizzare alla sua maniera: «Gli squallidi dicono che hanno vinto. Bene, che continuino a vincere così...». Il fatto è che i cosiddetti escualidos, cioè i milioni di venezuelani colpevoli di non votare per Chàvez, qualche buona ragione per festeggiare ce l'hanno. Inaspettatamente hanno scoperto di essere maggioranza in Venezuela. Nel voto popolare l'opposizione ha raccolto circa il 52% dei consensi, il chavismo è al 48%. Ma per il meccanismo elettorale delle legislative, la maggioranza dei seggi al Congresso è rimasta al Psuv, il partito socialista unitario al governo. Su 165 seggi, ne sono stati attribuiti 95 al governo e 64 all'opposizione, con 6 ancora da definire. È una distorsione massiccia, ma attesa. Il sistema venezuelano ha una forte componente uninominale ed esalta la rappresentanza di regioni poco popolose del Paese, dove Chàvez è molto forte.
È un meccanismo antico, non un trucco del governo. Al quale però è stata data qualche aggiustata negli ultimi tempi per renderlo ulteriormente favorevole. Comunque si leggano i numeri, il Venezuela non risponde alla richiesta del suo comandante-presidente, che voleva «demolire» l'opposizione e schiacciarla sotto un terzo di rappresentanza parlamentare. A conteggio ultimato, Chàvez non dovrebbe quindi più avere la possibilità di far passare modifiche costituzionali e leggi-quadro pesanti. Non potrà, per esempio, infilare nella Costituzione il concetto di Stato sociali- sta (già un referendum perso nel 2007 glielo impedì), oppure allargare la discrezionalità dello Stato sulla proprietà privata. Insomma, la via costituzionale al «socialismo del secolo XXI» si complica, oppure - per dirla con gli oppositori più duri - la prospettiva di un Venezuela alla cubana si allontana. Come reagirà Chàvez è difficile da prevedere. Quando perse tre anni fa, disse all'opposizione che avevano portato a casa una «victoria de mierda» e andò avanti sulla propria strada. Uno dei timori è che approfitti dei mesi di vita che restano all'attuale Parlamento, che controlla al 90%o, per forzare leggi in sospeso. Il suo vice Elias Jaua sostiene che il progetto socialista, la restituzione del «potere al popolo», può proseguire anche con questi numeri. Dalle colonne del giornale Tal Cual, lo storico avversario di Chàvez Teodoro Petkoff sintetizza: «E' una grande sconfitta. Hanno fatto di tutto, occupato l'etere, piegato le istituzioni, prostituito l'atto fondamentale della democrazia, il voto. Si sono giocati gli ultimi residui di dignità civica. E hanno perso lo stesso».
Per quanto Chàvez mantenga un forte appoggio popolare - soprattutto negli strati che hanno visto migliorare le proprie condizioni di vita in questo decennio «bolivariano» - le pessime condizioni dell' economia e la violenza fuori controllo non potevano non avere un effetto. Tra gli oppositori più lucidi, in vista delle presidenziali del 2012, la parola d'ordine è lavorare per costruire un'alternativa. Chàvez senza maggioranza non significa che esista una figura in grado di sostituirlo alla presidenza; i 64 seggi dell'opposizione sono divisi tra decine di partitelli, dall'estrema destra alla sinistra moderata, che mischiano vecchio e nuovo e resistono a riconoscere una leadership unica. E Chàvez, grazie alle dottrine militari che conosce a menadito, sa quando è il momento di fare un passo indietro per poi tornare ad avanzare.
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