La "vendetta" dei radicali “Non partecipiamo al voto” l'ira del Pd: "Li cacciamo"

Dalla Rassegna stampa

Alla fine ha ragione l'inquisito per mafia: «Questa mia vicenda lascerà comunque un segno nel Parlamento», dice il ministro della Repubblica italiana Saverio Romano. Davvero difficile immaginare una seduta d'aula più imbarazzante, più degradata. Il ministro in odor di Cosa Nostra si salva dalla sfiducia, allegramente sostenuto dai duri e puri della Lega, e il premier corre «soddisfatto» ad abbracciarlo. Ma la vera sorpresa arriva dal Pd che finisce tramortito da un clamoroso imprevisto: i sei radicali eletti nelle file del partito, non partecipano al voto. Forse già oggi verranno espulsi. Rita Bernardini, Maurizio Turco, Marco Beltrandi, Maria Antonietta Farina Coscioni, Elisabetta Zamparutti, Matteo Mecacci non avvisano il gruppo, come usa in caso di dissenso. Eccoli alzarsi all'improvviso. Prendono la parola in aula e annunciano la loro decisione. È la risposta dura, in puro stile corsaro-pannelliano, al voto contrario del Senato sulla drammatica questione delle carceri e la proposta radicale di amnistia. L'indagato, già abbastanza sicuro di sé da sfiorare ripetutamente l'arroganza, se la ride guardando il Pd in ebollizione. Rosy Bindi si alza dallo scranno e fa un gesto con le braccia che assomiglia molto ad un vaffa. Vicino a lei un inedito Enrico Letta furioso. Bersani si mette una mano sulla testa. Chiamati al voto, i sei restano al loro posto e alzano a turno un cartello: «Amnistia!». Dario Franceschini, capogruppo, schiuma dalla rabbia: «È una decisione intollerabile, incomprensibile». Oggi direttivo del gruppo e ufficio di presidenza del partito, alla presenza del segretario. Bindi, fuori dall'aula, rilancia: «È un comportamento inqualificabile, mi attendo provvedimenti conseguenti». Saranno espulsi? Oggi si saprà. Al calar della sera, scuri in volto, i deputati del Pd lasciano Montecitorio.

Romano è invece di ottimo umore: «Adesso, fino al 2013, c'è da lavorare per le riforme...». No, non l'hanno lasciato solo anche se, all'inizio della seduta, i banchi del governo sono vuoti. In piedi, proclama l'innocenza sua e della sua famiglia «fino alla settima generazione», cita Francis Bacon e «il leone che ha già una zampa sul trono». Uno alla volta, ecco arrivare alla spicciolata i colleghi. Raffaele Fitto sceglie la sedia più lontana, Calderoli passeggia senza fermarsi. In postazione la Bernini, la Prestigiacomo, la Gelmini. Stefania Craxi, sottosegretario, è annoiata: «Sono stufa di giocare a guardie e ladri». Ma è Umberto Bossi a fare la differenza quando si mette accanto a Romano. Scattano i flash. Un bel trio da immortalare: il ministro inquisito per mafia, il leader della Lega che lo salva e, più in là, Giulio Tremonti (Milanese, miracolato, intanto si aggira tra i banchi del Pdl). Il ministro del Tesoro trova anche la voglia di scherzare quando incontra il sindaco della capitale Alemanno: saluto romano prima di entrare in aula.

«Il clima è chiaramente da campagna elettorale», sentenzia Gianfranco Fini, costretto a presiedere tra insulti e schiamazzi. Ci si mettono anche i suoi, quelli di Fli, che, quando parla il «responsabile» Moffa gli danno del «traditore» e poi alzano ben in vista le vignette di Vauro sul «Porno-Stato» pubblicate dal Fatto. Roberto Menia esibisce un cartello per i «padani»: «Alla faccia della Legalità». Lo mostra alle telecamere. Fini ordina: «Rimuovete tutto!», mentre una fila di commessi separa padani e finiani. Turbolenze che attraversano tutto l'emiciclo: Silvio Berlusconi, che si materializza per il gran finale, si prende i fischi del Pd mentre vota; a Casini quelli del Pdl sibilano «traditore»; Di Pietro dà del «codardo» a Maroni, (assente anche lui per gran parte della seduta) e il suo gruppo produce una vignetta con una grande poltrona verde-padania.

Si alza il caratterista Scilipoti che rivendica la sua scelta di appoggiare il governo: «Rifarei tutto pur di liberare il Parlamento dai cialtroni!». Se non fosse perché c'è da vergognarsi, straordinaria la performance del leghista Sebastiano Fogliato. Parla d'altro, di vino, formaggio, di accordi di filiera e animali clonati. Sceglie di non entrare «nel merito della mozione perché non ha nulla a che fare con il ministero dell'Agricoltura».

Fuori, in piazza Montecitorio, il Popolo Viola, in formazione ridotta, dà vita ad un sit-in e ad una catena umana. Scajola, quello della casa al Colosseo, è soddisfatto della giornata. Lo sentono dire: «Sfangata!».

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