Veltroni si muove. Ma anche no

Dalla Rassegna stampa

 

Dopo un'estate passata a litigare se chiamarsi compagni o meno, se ritrovarsi alle feste dell'Unità o alle feste Democratiche, nel Pd è cominciata una discussione politica forse un po' più sensata. Discussione che s'incentra sull'iniziativa di un documento politico promosso da Veltroni e Fioroni e ridisegna gli equilibri interni al partito. Nel testo si rilancia l'idea originaria del Partito democratico, così come tratteggiata nel discorso del Lingotto del giugno 2007, e si promuove la nascita di un movimento che se ne faccia portatore. Un tentativo di alzare l'asticella del confronto politico interno, allo scopo di arricchire l'offerta politica del partito, in vista di elezioni che sembrano, se non imminenti, vicine.
La novità è data dall'asse Veltroni-Fioroni (che pure già furono l'uno segretario del Pd e l'altro responsabile dell'organizzazione), che cerca di autonomizzarsi e andare ad un confronto dialettico con Bersani, non mettendone in discussione la leadership del partito. Non è bastata, insomma, la virata bersanian-dalemiana pro vocazione maggioritaria degli ultimi giorni, con tanto di intervista per ribadire un pilastro del Pd veltroniano, quella coincidenza tra premiership e leadership in passato tanto osteggiata.
La Conseguenza diretta della presentazione nei prossimi giorni di questo documento è stata l'apertura di una crisi profonda dentro Area democratica, la macro componente che aveva unito fassiniani, veltroniani, popolari, parisiani e rutelliani (senza Rutelli) nel sostegno congressuale a Fraceschini contro Bersani. Negli ultimi mesi Area democratica s'era ritrovata un paio di volte a Cortona, per cercare di mettere insieme una corrente organizzata che non disperdesse i contenuti su cui si era qualificata la candidatura franceschiniana. Missione impossibile dopo che Franceschini aveva accettato di fare il capogruppo alla Camera e, insieme, il leader della minoranza interna. Difatti l'ambiguità è durata pochi mesi: Franceschini, non firmando il documento e contrastando apertamente l'iniziativa, si è messo da parte; cosicché, dopo la componente di Area democratica e le sottocomponenti che la animavano, i franceschiniani staccandosi dal corpaccione popolare hanno dato vita alla prima sotto sotto-componente. Fioroni porterà il grosso dei suoi a sostenere il documento, mentre Franceschini è ormai il più stretto alleato di quel D'Alema che aveva così aspramente avversato durante il congresso. Neppure Franco Marini firmerà il documento Veltroni Fioroni, ma il vecchio lupo marsicano non pare aver avuto successo nel tentativo di tenere un po' di popolari su una linea di maggiore prudenza.
I popolari appoggeranno l'iniziativa, producendo una ulteriore spaccatura tra gli ex democristiani confluiti nel Pd, dopo le rotture degli anni passati di Enrico Letta e Rosy Bindi. La stessa rivalità tra Fioroni e Franceschini andava avanti da troppo tempo per non conoscere, prima o dopo, un redde rationem. Che ci sarà, ufficialmente, la settimana prossima con una riunione delicatissima di Area democratica. Franceschini aveva, infatti, convocato dal 21 al 24 ottobre ad Amalfi la terza kermesse di Area democratica che, visti gli sviluppi, rischia clamorosamente di saltare. Si vedrà la settimana prossima. Anche Piero Fassino, che era stato il coordinatore della mozione Franceschini, giudica negativamente il documento Veltroni-Fioroni. Anche se in questi giorni è parecchio impegnato ad occuparsi della babele torinese: nonostante sia chiaramente il più forte dei possibili successori di Chiamparino che il centrosinistra può proporre, la sua candidatura è, in città, fortemente contrastata. Il vecchio paradosso di Tafazzi.
Bersani, da par suo, guarda preoccupato a quanto accade nel suo partito. Malgrado D'Alema, Letta e Bindi non perdano occasione per ribadire che il segretario è naturalmente il candidato premier, l'ex ministro continua a schernirsi, muovendosi con prudenza. La malelingue del Nazareno non perdono occasione di interpretare l'appoggio incondizionato che i suoi alleati interni gli rivolgono, come un modo per accollargli la molto probabile sconfitta elettorale e chiedergli subito dopo di farsi da parte. Non sarebbe la prima volta e Bersani non è nato ieri. Se, infatti, egli dovesse capeggiare uno schieramento formato da Pd, Radicali, Socialisti, Verdi, Sinistra e libertà, Di Pietro, Federazione comunista e magari grillini, difficilmente l'Udc di Casini accetterà di fare parte dell'impresa. Si riprodurrebbe, a conti fatti, non tanto lo schema dell'Unione, quando quello del cartello dei Progressisti capeggiati da Occhetto che perse amaramente le prime elezioni bipolari della storia patria nel lontano 1994. Bersani non vuole morire occhettiano e, quindi, potrebbe accettare l'idea di non essere lui il (perdente) candidato premier, per non essere spodestato il giorno dopo la sconfitta. La partita nel Pd si complica. I prossimi giorni, con la Direzionale nazionale del partito convocata nel fine settimana, saranno decisivi per misurare in nuovi equilibri interni e prospettare gli scenari futuri.

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