Veleni e rischi

La chiave per capire lo sfogo di Silvio Berlusconi davanti alla platea del Ppe, ieri a Bonn, è certamente l’esasperazione. Troppi veleni e troppe tensioni, anche nel centrodestra; e troppa incertezza. Altrimenti, non si capirebbe come un presidente del Consiglio dotato di una maggioranza schiacciante possa dire che «la sovranità è passata dal Parlamento al partito dei giudici». Lo stupore della platea fa pensare che il discorso sia stato iscritto più nella categoria delle stranezze italiane che in quella degli attacchi alla democrazia, come sostiene l’opposizione: anche se la scelta di parlare ad un congresso internazionale accentua l’imbarazzo. È come se da giovedì le anomalie del Belpaese fossero state offerte al giudizio dell’Europa. Le nazioni alleate sono state informate del rapporto tormentato fra magistratura e potere politico; fra i processi e l’investitura popolare di un capo di governo.
Il sospetto, però, è che il problema sia assai poco sentito fuori dai nostri confini; e che l’esportazione di un conflitto istituzionale in una fase di crisi economica e finanziaria generalizzata sia accolta come un tema staccato dalla realtà. I contraccolpi interni, però, ci sono: soprattutto per il nuovo attacco alla Consulta. Berlusconi, l’uomo che ha forgiato e dominato la Seconda Repubblica, sembra diventato il suo involontario picconatore. Eppure, è convinto di non essere lui a sferrare i colpi che rischiano di lesionare il Paese: si considera la vittima di una serie di sabotatori annidati in un potere senza legittimazione popolare; e senza diritto di replica. Ma in una lotta che appare sempre più di sopravvivenza, i rischi si moltiplicano. Per questo il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e quello della Camera, Gianfranco Fini, non potevano tacere; e infatti la cosa più rumorosa è il silenzio della seconda carica dello Stato, Renato Schifani. La «preoccupazione» ed il «rammarico» espressi da Napolitano fotografano una situazione in bilico.
Il fatto che Berlusconi abbia scelto di non replicargli dimostra che la sua offensiva non risponde ad una strategia a tavolino; che non c’è la volontà di rompere con il Quirinale, sebbene le critiche del Pdl al presidente della Repubblica segnalino un’ostilità strisciante. La prospettiva di un governo costretto a procedere per altri tre anni in un clima di conflittualità così accentuata fa venire i brividi. Promette un logoramento ed una paralisi decisionale dei quali pagherebbe il prezzo il Paese, oltre che Berlusconi. Il premier ribadisce la volontà di rivoluzionare le istituzioni. Ma se davvero ne è convinto, non si spiega il senso di impotenza che filtra dalle sue parole sui giudici. Mai come in questi giorni si ha l’impressione di un Berlusconi combattuto fra voglia di uscire dall’accerchiamento tornando davanti al corpo elettorale, e consapevolezza che il Paese gli chiede di governare. Per quanto giustificata da un contorno di veleni, l’esasperazione non è il consigliere migliore. E gli annunci non seguiti da scelte conseguenti possono rafforzare gli avversari.
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