Vecchio vizio che premia chi ha torto

Dalla Rassegna stampa

La litigiosità in Italia è elevata, diffusa e in continua espansione. Sembrerebbe un paradosso: la giustizia non funziona perché lentissima, ricorrere in giudizio è una scelta economicamente svantaggiosa, perché farlo? Il caso si risolverà in un futuro lontano, con spreco di energie e denaro in spese legali che potrebbero essere ben più utilmente impiegate per accordarsi con la controparte e risolvere rapidamente la questione. Così è certamente per larga parte dei casi che coinvolgono questioni di contenuto economico, che sono il grosso del contenzioso che intasa tribunali e autorità con funzioni paragiurisdizionali.
E invece un paradosso non è. L'aspetto terribile della domanda di giustizia in Italia non è tanto il suo volume, quanto le scelte che ne sono alla base e che la determinano. La nostra domanda di giustizia civile è gonfiata da una componente patologica, per la quale il ricorso in giudizio non è volto a dirimere una questione giuridica incerta, ma invece è il risultato della scelta opportunistica di chi ha torto – ed è consapevole di esserlo – che a causa dei tempi biblici dei processi trova economicamente conveniente non ottemperare e farsi trascinare in giudizio, per spuntare un abbandono della controparte, o una transazione favorevole. Un sistema giudiziario funziona efficacemente quando assicura la stessa forza contrattuale a chi ha ragione e a chi ha torto.
È un equilibrio difficile da raggiungere e ancor più da conservare. Tutti i paesi avanzati si confrontano quotidianamente con la necessità di raggiungere questo obiettivo. Pensiamo alle difficoltà che incontrano gli Stati Uniti nel conservare una massima tutela del consumatore e al contempo evitare che le class action si traducano in forme di esagerata aggressione alle imprese. Nessuno dei paesi avanzati ha però il livello spaventoso di disequilibrio che affligge il sistema italiano, dove chi ha torto è largamente più in vantaggio di chi ha ragione. È proprio questo squilibrio non solo il sintomo, ma la causa principale del dissesto della giustizia italiana e in generale della seria compromissione della certezza dei contratti e del diritto. Non vi è un colpevole, una categoria responsabile individuabile. Non è colpa degli avvocati, né dei magistrati e nemmeno dei cittadini. E al contempo è il risultato della combinazione dei comportamenti di tutte e tre queste categorie che costituiscono i principali protagonisti delle contese. Infatti la lentezza della giustizia non è causata in Italia da carenza di risorse destinate al settore, né da una caduta nel tempo della produttività dei magistrati, né da un numero di avvocati basso, né da riti processuali arretrati.
La causa principale dell'inefficienza della nostra giustizia risiede in una serie di incentivi di comportamento perversi, che la normativa produce sui soggetti protagonisti delle contese: i litiganti, gli avvocati e i magistrati. Incentivi di comportamento che non rendono vantaggiose, ma addirittura a volte scoraggiano, le scelte che servono ad alleggerire i fascicoli, a raggiungere un transazione, in generale a sveltire i tempi di risoluzione della controversia. Pensiamo ad esempio alle regole per la determinazione dell'onorario degli avvocati, che fanno dipendere il compenso dal numero di attività svolte.
Le riforme che si sono succedute negli anni hanno prevalentemente mirato a riorganizzare i riti processuali in modo da renderli più spediti. Riforme sensate. Ma sistematicamente svuotate dalla prassi processuale, dato che nel nostro diritto non vi sono efficaci incentivi che rendano conveniente alle parti e ai loro difensori non abusare delle garanzie che il diritto processuale offre.
Si è cercato in diverse occasioni di spostare all'esterno della giustizia ordinaria parte del contenzioso, incentivando le varie forme alternative di risoluzione delle controversie. Intervento utile. A patto però che la giustizia ordinaria si sveltisca sensibilmente; diversamente le questioni decise fuori dai tribunali vi rientrano attraverso le impugnazioni, perché a chi ha torto conviene: non a caso il tasso di crescita delle impugnazioni dei lodi arbitrali italiani presso la giustizia ordinaria è cresciuta in tre anni (dal 2004 al 2007) di oltre il 16%. La recente riforma del processo civile è ricca di interventi che vanno nella giusta direzione; la riforma della professione forense, in discussione, avrà un peso cruciale nel renderla o meno un successo. Introdurre regole che premino gli avvocati che alleggeriscono i fascicoli e inducono i clienti alle transazioni potrebbe davvero rendere finalmente efficaci le molte innovazioni sul rito e portare il sistema fuori dalle secche.

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